Il valzer delle ambasciate di Trump, Eisenberg in pole per Roma

NEW YORK. – Un valzer delle feluche inaugura l’era Trump: Caroline Kennedy, l’erede della dinastia di Camelot che tre anni fa il presidente Barack Obama mandò ambasciatrice a Tokyo, ha lasciato oggi l’incarico che il tycoon assegnerà a un sostenitore di sua scelta. L’ordine della Trump Tower era partito alla vigilia di Natale e trasmesso dal Dipartimento di Stato a tutti gli ambasciatori di nomina politica.

Tornano in palio da venerdì le cosiddette “cocktail embassies”, riservate a donatori e fedelissimi: tra queste Roma dove, secondo indiscrezioni dei media, il finanziere e tesoriere del partito repubblicano Lew Eisenberg potrebbe prendere il posto di John Phillips, che oggi ha lasciato Roma assieme alla moglie e all’amatissimo gatto Budetti.

Caroline, prima feluca donna in Giappone, lascia Tokyo osannata come una celebrità (in tasca la legacy di aver facilitato la storica visita di Obama a Hiroshima) senza che Trump abbia ancora nominato un successore.

Finora il tycoon ha annunciato soltanto due nomine politiche (le “cocktail embassies” sono in genere un terzo del totale) oltre a Nikki Halley alle Nazioni Unite: l’avvocato delle bancarotte David Friedman in Israele e il governatore dell’Iowa Terry Branstad in Cina.

Vacanti, tra le sedi più ambite, Londra e Parigi, mentre Ivana Trump, la prima moglie del miliardario, si è fatta avanti per Praga, forte del fatto che è nata nel 1949 nell’allora Cecoslovacchia. Joseph Forgione, snobbato per il posto di ministro della Casa, potrebbe aspirare al Vaticano. E se non sarà Eisenberg, a Villa Taverna potrebbero arrivare il magnate del cemento di New York Peter Kalikow o il finanziere Duke Buchan: tutti e tre, secondo Politico, avrebbero ricevuto l’avviso da parte del transition team che Roma o Madrid, Senato permettendo, andranno a loro.

Il processo potrebbe prendere mesi: prima i controlli serrati dell’ufficio di Casa Bianca e Fbi, poi le audizioni al Congresso. Fonti di Politico parlano di “difficoltà” legate alle situazioni patrimoniali e alla scarsa esperienza in politica estera di molti candidati, alcuni dei quali hanno avuto problemi legali o finanziari.

Kalikow, ex proprietario del New York Post negli anni Ottanta, nel 1991 fece bancarotta lasciando molti dipendenti a secco delle loro pensioni. Buchan è menzionato in un dossier del Senato del 2006 su paradisi fiscali. Quanto ad Eisenberg, nel 1989 si dimise da Goldman Sachs dopo una denuncia, poi ritirata dopo un patteggiamento con l’azienda, per molestie sessuali da parte di una ex assistente.

(di Alessandra Baldini/ANSA)

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