A Davos domina l’ansia da Trump, Fmi teme “cigno nero”

REUTERS/Ruben Sprich
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DAVOS. – La ‘Trump anxiety’, l’ansietà di sapere se Donald Trump terrà davvero fede alle sue promesse elettorali più populistiche, è l’argomento principe in ogni salottino del Forum economico mondiale nel giorno del giuramento del presidente Usa. Un elefante nella stanza che non riescono a evitare neanche i discorsi ufficiali, che siano l’appello-denuncia di George Soros contro “un impostore, imbroglione, potenziale dittatore” alla Casa Bianca o l’allarme del Fondo monetario internazionale sul rischio di un “cigno nero”.

E’ raro trovare un solo panel dell’elite globale a Davos in cui Trump non emerga come il grande punto interrogativo. E se Soros, suo oppositore della prima ora, non stupisce, fa effetto che pur prendendo l’argomento alla larga, Christine Lagarde, numero uno del Fondo monetario internazionale, abbia evocato rischi elevatissimi per l’economia mondiale se nel 2017 le stelle del populismo dovessero allinearsi.

Parlando esplicitamente della nuova Casa Bianca, la Lagarde ha spiegato che l’impatto dello stimolo di bilancio alla crescita annunciato da Trump, al netto della spinta contraria se vi saranno chiusure protezionistiche, “potrebbe non essere positivo”. Senza fare riferimenti espliciti, poi, Lagarde si è spinta oltre.

L’economia mondiale rischia “un ‘cigno nero’ davvero grande che avrebbe effetti devastanti, se si ripetessero nel 2017 in maniera negativa tutti gli elementi di rottura che ci aspettiamo sulla base di quanto accaduto nel 2016, e se si andasse a finire in una corsa al ribasso sul fronte fiscale, del commercio internazionale e della regolazione finanziaria”.

E’ chiaro che un simile scenario ruota attorno a Trump, anche se vi rientrano le incognite elettorali europee e le voglie di Londra di farsi paradiso fiscale e magnete finanziario grazie a una nuova deregulation delle banche.

Roberto Azevedo, direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio, invita gli americani a sedersi al tavolo per un “dialogo” e discutere delle loro “inquietudini”. Wolfgang Schaeuble, prudente ministro delle Finanze tedesco e politico navigato, sempre qui a Davos ostenta il suo scetticismo: “non riesco davvero a immaginare che l’amministrazione Trump arrivi a danneggiare seriamente il libero commercio globale” lasciando alla Cina il ruolo di difensore della libertà.

Scetticismo anche sul disimpegno dalla Nato evocato da Trump, escluso qui a Davos dal segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg. Trump “va preso sul serio, ma non alla lettera”, argomenta Pierre Moscovici, responsabile per l’economia della Commissione Ue.

Ma chi non ha vincoli diplomatici o timori per il proprio business non nasconde la propria preoccupazione. Non riesce proprio a trattenersi, ad esempio, Angus Deaton, pacioso, rassicurante e prudente premio Nobel per l’economia: “Sono molto preoccupato. Non è facile dire quel che succederà perché non lo sappiamo. Ma sappiamo che non è qualificato per essere il presidente degli Stati Uniti”.

Mario Monti, ex Commissario Ue e presidente del Consiglio europeo, parlando di Brexit non nasconde il “trattamento ruvido” da parte dell’amministrazione Usa con cui dovranno fare i conti le istituzioni europee. E a fare i conti con l’incognita Trump è anche il mondo della finanza e degli affari. Larry Fink, numero uno di Blackrock, si aspetta un’amministrazione Usa “che farà rumore” e che farà politiche forti e decise. Mentre Claudio Costamagna, presidente di Cassa Depositi e Prestiti, è ironico: “c’è un po’ di ansietà” a Davos, spiega, ma a Trump “diamo almeno il beneficio del dubbio”.

(dell’inviato Domenico Conti/ANSA)