Paura sul filo della faglia. I sindaci, diteci che dobbiamo fare

Terremoto: l'80% delle case sono costruite in aree a rischio
Terremoto: l’80% delle case sono costruite in aree a rischio

ROMA. – La paura corre sul filo della faglia. Da Fabriano a Teramo, passando per Foligno e Ascoli, nei centri più interessati dall’allarme lanciato dalla Commissione Grandi Rischi sulla possibilità di nuove scosse molto forti la popolazione è terrorizzata e i sindaci non sanno più cosa fare. Molti i Comuni che hanno chiuso le scuole, in alcuni casi sine die.

La zona interessata dal nuovo allarme è quella attorno alla faglia che corre da nord-ovest a sud-est, tra il Monte Vettore e il Monte Gorzano e in particolare nel tratto che va da Montereale all’Aquila. Aree che in questi ultimi giorni non sono tra quelle maggiormente interessata all’attività sismica, che invece si sta concentrando soprattutto nell’area a sud tra le province dell’Aquila e Rieti.

Ma secondo la Grandi Rischi, proprio in quelle zone che non hanno registrato terremoti recenti di grandi dimensioni potrebbe verificarsi un sisma di magnitudo fino a 7. I sindaci sono in allarme e non ci stanno a quello che chiamano lo ‘scarico’ di responsabilità.

Tempestato di mail di cittadini “terrorizzati” e di nuove richieste di sopralluoghi, il primo cittadino di Fabriano (Comune all’estremità nord dell’area interessata), Giancarlo Sagramola, è rimasto “senza parole” per l’allarme della Commissione. Vent’anni fa il sisma di Colfiorito a Fabriano fece danni enormi; le scosse dell’ottobre scorso hanno lasciato senza casa circa 500 persone, e l’allerta cade su una popolazione psicologicamente già molto provata.

“Come sindaco – dice Sagramola all’ANSA – ho fatto quello che posso fare: oggi ho disposto che in tutte le scuole e in tutti gli uffici pubblici si effettuino prove di evacuazione ogni settimana. Non posso certo rafforzare le strutture, solo intensificare l’attività di prevenzione, e questo faccio”.

Scendendo un po’ più a sud lungo la faglia, si incontra la disperazione del sindaco di Foligno e presidente della provincia di Perugia, Nando Mismetti. “Ho chiesto alla Protezione civile dell’Umbria di convocare una riunione urgente a seguito delle incredibili valutazioni espresse dalla Commissione grandi rischi che stanno gettando nel panico la popolazione. Adesso ci devono dire cosa dobbiamo fare”.

“Troppo semplice – ha aggiunto – gettarci nella paura per poi scaricare le responsabilità sulle nostre spalle. Dobbiamo chiudere le scuole e tutti gli edifici pubblici per i prossimi 10 anni?”.

Scorrendo la faglia ancora più verso sud-est, ad Ascoli, cittadina che si trova a soli 60 chilometri dal lago di Campotosto, dove secondo la Commissione Grandi Rischi potrebbe verificarsi un ‘effetto Vajont’ alla diga, il sindaco Guido Castelli parla di “panico” nella popolazione e si chiede se riaprire o meno le scuole che erano state chiuse per l’emergenza neve e che ora, secondo la sua valutazione, sono a posto.

Ma alla luce dell’allarme lanciato dalla Grandi Rischi, Castelli ha scritto al presidente del consiglio Gentiloni, al ministro Fedeli, a Errani e Curcio chiedendo lumi. Stesso comportamento dal sindaco di Teramo, Maurizio Brucchi, che chiede con urgenza al governo chiarimenti su come comportarsi e accusa: “è ricominciato il gioco del cerino, dove ognuno punta a salvare il proprio fondoschiena”.

Decisione drastica, invece, nei Comuni della Valle dell’Aterno, che hanno deciso di chiudere le scuole sine die. Il sindaco di uno dei centri, Massimiliano Giorgi di Montereale (L’Aquila), paese a due passi dalla diga di Campotosto, parla di “allarme in una situazione già allarmata” e critica chi lancia allerta che “creano problemi”. Sconsolato il sindaco di Borbona (Rieti), sempre nella zona di Campotosto: “la mia gente non ne può più, mandateci gli psicologi”.