Riacquisto cittadinanza, azione concreta del governo e ripresa dell’esame in Parlamento

ROMA – Il primo richiamo deve essere rivolto al Parlamento, a noi stessi, per aver bloccato l’iter di approvazione del disegno di legge di riforma della cittadinanza, ispirato alla introduzione del principio dello Jus soli per i migranti, ed aver contemporaneamente rallentato l’esame della proposta di legge che introduce soluzioni per le comunità di italiani nel mondo, entrambe da tempo all’esame del Senato.

La ragione, com’è noto, è nella resistenza che forze e movimenti di destra stanno facendo su questo tema, facilitate dai ristretti margini di maggioranza esistenti al Senato, ma comunque è arrivato il momento che anche gli altri facciano la loro parte.

Il tema della cittadinanza italiana e del suo riacquisto, oltre a quello della trasmissione da parte delle donne, deve essere affrontato con la necessaria urgenza e coerenza. Non esistono costi amministrativi aggiuntivi e, trattandosi di una platea limitata, non dovrebbero sussistere soverchie preoccupazioni relative a eventuali controesodi o acquisizione di diritti sociali o previdenziali.

Abbiamo fornito, a suo tempo, una serie di dati che partivano da alcune considerazioni di fondo: il riacquisto è diretto unicamente a chi, cittadini italiani, è stato costretto a rinunciarvi e non ha potuto avvalersi della norma transitoria sul riacquisto che è rimasta in vigore dal 1992 al 1997. Una platea che si è progressivamente ristretta per ragioni generazionali e che quindi non pone questioni irrisolvibili.

Le comunità degli italiani nel mondo, attraverso gli organismi di rappresentanza, Comites e CGIE, avanzano da lungo tempo la richiesta di riapertura dei termini per la presentazione della dichiarazione tesa a ottenere il riacquisto della cittadinanza italiana, regolata dall’articolo 17 della legge n. 91 del 1992.

Al tema della riapertura dei termini per il riacquisto della cittadinanza italiana si affianca, con analoga urgenza, la questione del riconoscimento della facoltà di trasmissione della cittadinanza da parte della donna che abbia perduto la cittadinanza italiana senza sua volontà per matrimonio contratto con uno straniero prima dell’entrata in vigore della Costituzione.

Il punto di diritto è ormai chiarissimo: dopo la sentenza in merito della Corte di Cassazione, se tutte le donne adissero i tribunali si vedrebbero certamente riconosciuto il loro diritto. Il problema, dunque, è quello di far risparmiare tempo e denaro, sbloccando la procedura anche sul piano amministrativo, oltre che su quello giudiziale.

Camera e Senato hanno svolto un buon lavoro sul tema con la presentazione di proposte di legge che, al Senato, hanno ottenuto il via libera della commissione Affari Esteri ed Emigrazione, della commissione Giustizia, della commissione Politiche dell’Unione Europea e sono in attesa della valutazione della commissione Bilancio. In altre parole al Senato si è raggiunto un buon punto nell’iter di approvazione del provvedimento.

Il nostro lavoro, in questo momento, sarà diretto ad utilizzare gli strumenti di analisi e confronto, come i Comitati per gli italiani nel mondo, per ascoltare soggetti istituzionali e istituti di ricerca e contribuire a chiarire e superare gli elementi di persistente incertezza.

(Marco Fedi e Francesca La Marca)
Deputati eletti all’estero per il Partito democratico