Mattarella, il nodo è la stabilità futura non la data del voto

ROMA. – Il giorno dopo la sentenza sull’Italicum le fibrillazioni si attenuano e un silenzio meditativo pervade la politica. Aprendo spazi a riflessioni che permettono di interpretare meglio anche il riserbo di Sergio Mattarella, ieri limitatosi a far sapere che bisognava aspettare le motivazioni della Corte. Facendo però intuire che proprio dal vicinissimo palazzo della Consulta potrebbero venire indicazioni fondamentali, magari utili per sciogliere il dubbio se le due leggi elettorali siano omogenee o meno. Insomma, elementi per chiudere il cerchio del lavoro da fare per mettere in sicurezza il Paese con un sistema elettorale che dia un livello accettabile di futura governabilità.

Bisogna quindi aspettare una decina di giorni prima di dar fuoco alle polveri. Da tempo il problema, per il Colle, non è la data delle elezioni ma il percorso. E soprattutto la destinazione. Il presidente della Repubblica è fin qui stato lineare nelle sue determinazioni e impeccabile nell’evitare sconfinamenti nei campi altrui. E così avverrà anche nel caso, sempre traumatico, di un voto anticipato.

Le considerazioni del capo dello Stato sono da tempo chiare ed espresse pubblicamente. Le cose devono essere fatte bene e c’è il tempo per chiudere ordinatamente la legislatura con un leggero anticipo – scelta non obbligatoria ma politicamente metabolizzata dal Quirinale -, anche già a giugno. La preoccupazione di Mattarella è tutta concentrata sul “dopo”, su cosa potrebbe accadere a un Paese già stremato dalla crisi se le urne riportassero ancora una volta risultati non chiari.

La prospettiva di un Governo tenuto in vita da un pugno di voti ballerini o, peggio, la mancanza di una maggioranza in una delle due Camere stroncherebbe i flebili refoli di ripresa e danneggerebbe ancora di più l’immagine internazionale del Paese. Ma d’altro canto il presidente è consapevole che una melina parlamentare o un esecutivo di pura sopravvivenza per galleggiare fino al 2018 produrrebbe gli stessi risultati.

Nessun pregiudizio quindi ad anticipare il voto per ridare slancio al Paese con la forza del suffragio popolare. Non ci sarà nessun accanimento terapeutico dal parte di Mattarella, nessun tentativo di forzare le dinamiche, soprattutto dopo il voto referendario che si è rovesciato sul governo Renzi come un giudizio politico.

Tirarlo per la giacchetta come ha fatto Beppe Grillo con la sua “lettera aperta” al presidente non servirà. E’ la Costituzione a spiegare che ora la palla passa alle forze politiche e al Parlamento. Non può certo il presidente sciogliere le Camere a suo piacimento con un Governo in carica ed una maggioranza solida.

L’auspicio è che si trovi un accordo per migliorare il sistema elettorale guardando al bene del Paese ma se un giorno Gentiloni dovesse presentarsi in Parlamento per annunciare che il suo compito è finito, bene, allora Mattarella non riaprirà le consultazioni. Sta a Renzi e Gentiloni valutare l’opportunità di questa scelta, pesare i rapporti di forza interni e cosa è meglio per l’Italia.

(Di Fabrizio Finzi/ANSA)

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