Furia Trump, chiamate shock ai leader di Australia e Messico

(ANSA/AP Photo/Alex Brandon, File)
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NEW YORK. – Ufficialmente la Casa Bianca parla di conversazioni “cordiali” e di partnership inossidabili. Ma quando Donald Trump nello Studio Ovale alza la cornetta per parlare con i leader alleati i toni sarebbero spesso ruvidi, bruschi e diretti, come ogni giorno il tycoon è abituato a fare davanti alle telecamere o su Twitter. Zero diplomazia, dunque, come emerge dalla fuga di notizie sulle telefonate avute negli ultimi giorni con il presidente messicano Enrique Peña Nieto e con il premier australiano Malcolm Turnbull.

Con il primo ha minacciato l’invio di truppe Usa se i militari messicani non saranno in grado di fermare quelli che ha chiamato i “bad hombres”. Al secondo avrebbe addirittura attaccato il telefono in faccia, perdendo le staffe di fronte alla richiesta di rispettare l’impegno preso da Barack Obama sul fronte dell’accoglienza dei rifugiati.

“Dobbiamo essere trattati in maniera giusta dai nostri alleati. Rispetto l’Australia, ma abbiamo un problema”, ha detto Trump. “Quando sentite delle mie telefonate dure con gli alleati non preoccupatevi…”, ha poi scherzato il presidente americano tentando di smorzare le polemiche. Ma qualcuno lo ha già ribattezzato ‘The Bully in Chief’, uno che non si preoccupa di fare il prepotente anche con i Paesi più amici degli Stati Uniti.

Entrambe le conversazioni shock rivelate dai media sono state confermate dai diretti interessati. Quella con Peña Nieto è stata liquidata dalla Casa Bianca come una “battuta scherzosa” mentre si parlava del rafforzamento della cooperazione Usa-Messico sul fronte della lotta al narcotraffico: “Non state facendo abbastanza per fermarli. Penso che i vostri soldati abbiano paura. I nostri no, potrei inviarli laggiù per occuparsi della questione”.

Non suonano di certo come uno scherzo, comunque, le parole del nuovo segretario alla sicurezza nazionale John Kelly, che ha confermato il via al muro in pochi mesi con l’obiettivo di finirlo entro due anni.

A preoccupare di più la diplomazia è però in queste ore la tempestosa telefonata con il premier dell’Australia, un alleato di sempre e tra i più stretti degli Usa. Una conversazione ‘animata’ confermata non solo da Canberra, ma dallo stesso Trump con il solito tweet: “Potete crederci? L’amministrazione Obama si è detta d’accordo nel prendere migliaia di immigrati illegali dall’Australia. Perché? Rivedrò questa stupida intesa”.

Il riferimento è al patto grazie al quale Washington ha accettato di prendere 1.250 profughi tra quelli confinati su due isole australiane del Pacifico. La maggior parte provenienti da Iran, Iraq e Somalia, tre dei sette Paesi che subiscono le restrizioni del bando varato dalla Casa Bianca.

Il timore adesso è che tali tensioni possano sfociare in una vera e propria crisi diplomatica. Una crisi senza precedenti che potrebbe spingere l’Australia verso rapporti commerciali sempre più stretti con la Cina (soprattutto ora che Trump ha rottamato il Tpp), creando un asse a danno degli interessi Usa nel Pacifico.

Ci sarà molto da fare dunque per Rex Tillerson, che nel suo primo giorno da segretario di Stato ha invitato il personale – compresi gli oltre mille diplomatici ‘ribelli’ – a mettere da parte le convinzioni personali. Chiarendo comunque come d’ora in avanti la politica estera americana sarà più che mai ispirata alla franchezza.

Intanto, mentre Trump ha avvertito che gli Stati Uniti accetteranno “solo gli immigrati che ci amano”, la Casa Bianca starebbe preparando una nuova stretta sugli ingressi, con un giro di vite al programma dei visti di lavoro per i dipendenti altamente qualificati, di cui beneficiano in particolare le aziende della Silicon Valley e dell’intero settore hi-tech.

L’obiettivo? Sempre quello, ovvero “dare priorità e proteggere i posti di lavoro, gli stipendi e il benessere dei lavoratori americani”, secondo quanto scrive il Wall Street Journal. Insomma, ‘America First’. Peccato che i dirigenti del mondo economico sostengono che i lavoratori stranieri sono necessari e hanno premuto a lungo per aumentare il tetto di 85 mila visti annui. Se la bozza fosse firmata, “c’è il rischio di serie conseguenze per le società americane hi-tech sulla loro capacità di assumere l’elite dei talenti nel mondo”, ha avvertito Blake Irving, chief executive di GoDaddy.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)

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