Nel Pd cresce l’asse del “no voto”, Renzi prende tempo

ANSA/PASQUALE BOVE

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ROMA. – Cambio di passo, prudenza, in attesa delle motivazioni della Consulta e della direzione del 13 febbraio. E’ un Matteo Renzi meno ‘assertivo’ quello che va a concludere, nella sua Pontassieve, una settimana ad altissima tensione. Alle spalle, infatti, il segretario Dem lascia un partito in cui cresce, con il passare delle ore, l’asse contrario al voto anticipato. O, comunque, contrario ad andare alle elezioni senza una legge elettorale forgiata e approvata dal Parlamento.

E Renzi ne è consapevole, tanto da aprire, in un’intervista al Corsera, ad una soluzione a lui di certo poco gradita: quella del Congresso e del voto a febbraio 2018. Una soluzione che serve all’ex premier anche a ‘sparigliare’, a prender tempo, in attesa delle motivazioni della Corte: prima di allora, raccontano i parlamentari a lui vicini, Renzi non parlerà di legge elettorale, mentre risulta alta la sua preoccupazione per il braccio di ferro sui conti tra Ue e Italia.

Di legge elettorale parla invece al Corsera Dario Franceschini, non chiudendo alle elezioni a giugno ma proponendo un sentiero meno frettoloso: una nuovo sistema forgiato dalle Camere e con premio alla coalizione, primarie di centrosinistra e, solo allora, le urne. Un consiglio che il ministro della Cultura recapita al Nazareno e che non può, tuttavia, essere separato dal peso (decisivo per la maggioranza nel Pd) che Franceschini ha su tessere e parlamentari del partito.

E il ‘lodo’ Franceschini riscuote, con il passare delle ore, un successo trasversale incassando non solo l’ok dei centristi (potenziali alleati di coalizione) ma anche della minoranza Pd: “le scorciatoie non hanno mai portato lontano”, sentenzia il bersaniano Miguel Gotor.

E i renziani? Scalpitano nel silenzio. Calcolano che l’ultimo scorcio utile per il voto il 25 giugno è a fine aprile ma trasudano un umore nerissimo. Perché il lodo Franceschini porta, con sé, quello che non esitano a definire un ‘cul de sac’ che suona un po’ così: una legge elettorale con premio alla coalizione è l’unica, al momento, che potrebbe avere una maggioranza parlamentare.

Ma quella stessa maggioranza è composta in gran parte da correnti Pd e partiti che non vogliono il voto anticipato. Il rischio per il segretario è quindi quello di finire in un ‘cubo di Rubik’ che ha come unica soluzione il voto a febbraio. Anche perché le urne anticipate agitano anche il governo.

“Nessun partito dietro e nessun futuro politico davanti…ma grande libertà di dire quello che penso sull’interesse dell’Italia”, è il tweet con cui Carlo Calenda replica al collega Graziano Delrio, che lo aveva definito “il capo dei tecnici”.

A dare voce agli oppositori del ‘lodo’ Franceschini è Matteo Orfini: “Chi rimpiange l’Ulivo dovrebbe ricordare che a far fallire quei governi furono le coalizioni. E che per superarle abbiamo fatto il Pd”, è il caustico tweet del presidente Pd.

Mentre Andrea Orlando, sostenitore dell’ ‘Italikos’, prova una mediazione parlando di “elezioni il più presto possibile” ma con “una legge seria”. Parole che il ministro accompagna ad un’avvertimento: “la cosa che ci deve preoccupare è il rischio scissione”. Un rischio che, al momento, solo il ‘lodo’ Franceschini sembra poter evitare.

(di Michele Esposito/ANSA)

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