Sostegno Ue all’accordo Italia-Libia. Ma le Ong attaccano

(ANSA/AP Photo/Mohamed Ben Khalifa)
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LA VALLETTA. – L’Europa vara il piano per chiudere la rotta dei migranti dalla Libia verso l’Italia. Nel vertice informale di Malta i 28 danno il via libera alle proposte di azione a 360 gradi preparate da Federica Mogherini e dalla Ue e si congratulano per l’accordo firmato ieri a Roma da Gentiloni e Serraj. Il piano punta tagliare gli arrivi dal Paese africano, così come l’intesa di un anno fa ha fatto crollare del 98% quelli dalla Turchia. Ma allora si impegnarono 3 miliardi in tre anni, ora ci sono 200 milioni aggiuntivi per il 2017 dal bilancio europeo e, forse, altri contributi da Francia e Germania.

Ma se gli europei vedono un grande risultato, le Ong protestano. Dopo la denuncia di Amnesty International che già ieri aveva dichiarato che la chiusura della rotta avrebbe messo “centinaia di migliaia di rifugiati a rischio di tortura e sfruttamento”, sono arrivate quelle di Human Rights Watch (“la ‘linea di protezione’ europea potrebbe trasformarsi in una linea di crudeltà”), di Medecins Sans Frontieres (“approccio inumano”) e della Caritas Italiana, che considera quello tra Italia e Libia come un accordo fatto “contro i più deboli” ed “un’operazione a perdere per tutti”.

“Ho ben presenti le preoccupazioni umanitarie. Noi siamo convinti che le decisioni prese, gli stanziamenti, l’intesa bilaterale con la Libia abbiano l’obiettivo opposto”, osserva Paolo Gentiloni, ricordando che il tutto è stato “ampiamente discusso con l’Oim e l’Unhcr che vedono con favore investimenti e presenze per rendere la permanenza dei rifugiati più civile umana e organizzata”.

E a La Valletta il piano europeo ed italiano viene invece salutato da tutti con apparente entusiasmo. Il premier maltese Jospeh Muscat, titolare della presidenza di turno e padrone di casa, riconosce che “ogni accordo può essere criticato” ma sottolinea: “Sappiamo che la Libia è in una situazione particolare, ma questa non può essere una scusa per non impegnarsi”.

Aggiunge che “per la prima volta si raggiungono progressi importanti e allo stesso tempo c’è unità, due aspetti che non vanno sottostimati”. Anche perché evidentemente legati agli altri due temi fondamentali nel vertice di Malta: il rapporto con gli Stati Uniti di Donald Trump ed il futuro della Ue che sarà dopo la Brexit e che dovrà essere disegnato nella Dichiarazione per il 60/o anniversario.

Lunedì scorso i servizi di Tusk hanno messo a punto un ‘concept paper’, con una Ue che resti attore globale e continui a sostenere i suoi valori fondamentali. I tre paesi del Benelux ne hanno pubblicato un altro in cui propongono sostanzialmente un’Europa diversa da quella che standardizzava la curvatura delle banane e riprenda le “giuste priorità indicate nell’agenda di Bratislava” in cui uno dei punti chiave era lo sviluppo della difesa comune europea.

Il futuro della Ue ed il rapporto con la Casa Bianca di Trump si discutono a 27 dopo l’approvazione del piano migranti ed il pranzo in barca – durante il quale i leader hanno sentito le relazioni di Theresa May, Angela Merkel e Francois Hollande (che ha definito “inaccettabile” che il tycoon-presidente “faccia pressioni su quello che l’Europa debba o non debba essere”) – è stato il momento di pensare al futuro europeo.

Gentiloni ha osservato che l’ipotesi che gli Usa si richiudano nei confini nazionali va vista non solo come un rischio ma anche come “un’opportunità” per l’Europa.

Intanto il primo test dell’Europa che verrà sarà con l’attuazione del piano europeo ed italiano per la Libia. Si fonda sul rapido rafforzamento ed equipaggiamento della guardia costiera libica che faccia da cordone nelle acque territoriali, nel sostegno alle comunità locali per l’accoglienza dei migranti ed il coinvolgimento di Iom e Unhcr per la gestione.

“Non è la bacchetta magica”, ammette Muscat. Ma al di là dell’accordo per fermare i flussi, che lascia il problema fuori dai confini, c’è “tensione diplomatica”, rileva Gentiloni, sulla riforma del regolamento di Dublino (che infatti sparisce dalla Dichiarazione finale) e sui ricollocamenti contro cui si battono Viktor Orban con il gruppo di Visegrad.

(di Marco Galdi/ANSA)

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