Addio dell’Italia all’euro: per gli economisti è spettro default

Italexit si può fare, ma Draghi fa i conti: 'Vi costa 358 mld"
Italexit si può fare, ma Draghi fa i conti: “Vi costa 358 mld”

ROMA. – L’addio all’euro da parte dell’Italia? Sarebbe il default, come l’Argentina, magari senza le gomme bruciate per le strade e i supermercati saccheggiati, ma con un crac finanziario in grado di travolgere famiglie e imprese per anni. La vedono così gli esperti.

Marcello Messori, professore di economia internazionale e direttore della Luiss School of Political Economy, spiega all’ANSA che “sarebbe altamente probabile la necessità di ristrutturare il debito, una sorta di sindrome-Argentina”. Lorenzo Codogno, ex alto dirigente del Tesoro dopo anni in Bank of America e ora a capo di una sua società di ricerca finanziaria, LC Macro Advisors, valuta che “se ci fosse l’uscita dall’euro le probabilità di default sarebbero molto elevate”.

L’euro è “irrevocabile”, ha detto il presidente della Bce Mario Draghi. Ma gli economisti sull’ipotesi ‘exit’ ci ragionano: l’amministrazione Trump ostenta la propria sfiducia nel progetto europeo, ci sono elezioni ad alto rischio in Olanda, Francia e Italia nei prossimi mesi e lo spread italiano a 200 punti base è un monito dei rischi percepiti dai mercati.

La Lega Nord, un partito fino a cinque anni fa al governo, dell’addio all’euro ha fatto il suo cavallo di battaglia. Il blog del Movimento 5 Stelle invoca un referendum sull’euro “prima che sia troppo tardi” e scrive che l’addio all’euro oggi si concluderebbe in “una situazione di pareggio” fra costi – il necessario rimborso in euro dei Btp regolati da diritto estero e di quelli coperti da clausole di azione collettiva – e benefici dovuti alla conversione (e svalutazione) del resto del debito dall’euro alle ‘nuove lire’ come consentito dalla ‘Lex Monetae’, un principio internazionale che dà agli Stati tale facoltà.

Come la pensino nelle istituzioni è ben riassunto da una recente dichiarazione di Salvatore Rossi, direttore generale di Bankitalia: un addio dell’Italia all’euro sarebbe “uno scenario di disastro, di catastrofe”. Eppure l’Italia, nonostante gli sforzi di riforma, si ritrova prigioniera di un debito pubblico stellare di oltre 2.200 miliardi di euro: la situazione di “crescita zero” negli ultimi 15 anni, a detta di un recente studio di Mediobanca, “minaccia la sostenibilità”.

Ma uscire dalla moneta unica sarebbe la soluzione? L’Italia ha 48 miliardi di bond governati da diritto estero, 902 miliardi sotto clausole di azione collettiva (Cac), 210 miliardi nelle mani della Bce e si troverebbe esposta a 37 miliardi di perdite su 151 miliardi di derivati. Tutti da ripagare in euro, e con una lira svalutata: per Mediobanca sarebbero 280 miliardi – quasi il 20% del Pil – i costi netti con una svalutazione della ‘nuova lira’ del 30%, a fronte del risparmio di 191 miliardi grazie al debito sotto ‘Lex Monetae’: un differenziale che tuttavia si azzererebbe con una Bce disposta a negoziare.

Il debito pubblico italiano nelle mani degli investitori esteri è sceso negli anni, al 33-34% cui va sottratta la quota in mano alla Bce e quella dei fondi italiani di diritto lussemburghese o olandese. Si arriva al 25% ma non è poco. E del resto le ‘Cac’ (che consentono a chi ha il 25% di ogni emissione di opporsi alla denominazione) riguardano ormai la metà dei 2.200 miliardi di debito.

Ma il ‘rischio default’ va ben oltre. “Non c’è solo il debito pubblico, che peraltro è in parte consistente nelle mani delle banche italiane, ma anche il debito privato”, spiega Messori. Le banche si troverebbero passività in euro (lo sbilancio è di quasi 360 miliardi sul saldo target2 fra banche centrali) da ripagare immediatamente in lira svalutata.

Ne ha parlato Draghi giorni fa, rispondendo a una “ipotesi tecnica” che qualcuno ha interpretato come ammissione che l’addio all’euro sarebbe possibile. “Ci sarebbe un problema molto serio di collasso bancario”, secondo Messori. “Quasi sicuramente il sistema bancario andrebbe in default”, concorda Codogno.

Né godrebbero di alcuna conversione quelle famiglie e imprese indebitate verso creditori esteri, da rimborsare con una lira svalutata. Parliamo, stando ai dati della Banca dei regolamenti internazionali del secondo trimestre 2016, di passività per 93 miliardi di dollari delle banche italiane, e per qualcosa come 320 miliardi (190 verso la sola Francia) di famiglie e, soprattutto, imprese.

(di Domenico Conti/ANSA)