Maastricht 25 anni dopo, il Trattato nell’occhio del ciclone

FOTO ANSA/BORIS ROESSLER
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BRUXELLES. – L’euro è diventato l’obiettivo preferito degli attacchi di movimenti populisti sempre più forti e agguerriti, l’Unione economica è ancora incompleta e quella politica è praticamente rimasta lettera morta.

A 25 anni da un accordo definito da tutti, all’epoca, “storico” e che pose le basi dell’Unione monetaria, il Trattato di Maastricht è però rimasto per diversi, importanti aspetti, inapplicato. Nonostante questo, o forse proprio per questo, negli ultimi anni è finito nell’occhio di un ciclone politico e sociale che sta mettendo a dura prova la tenuta di quell’Unione nata per volontà di dodici leader europei che volevano dare una risposta alla nuova realtà geopolitica scaturita dalla caduta del muro di Berlino.

“Purtroppo l’idea che la moneta unica trascinasse verso l’Unione economica e politica non ha funzionato”, riconosce l’ambasciatore Rocco Cangelosi, una lunga e brillante carriera diplomatica conclusa al Quirinale come consigliere del presidente della Repubblica e che lo portò, all’inizio degli anni ’90, a essere tra gli ‘sherpa’ che negoziarono Maastricht.

Nel corso di questi 25 anni, osserva Cangelosi, “non si è riusciti ad armonizzare le politiche economiche e fiscali e quando è arrivata la crisi le tensioni e i problemi sono esplosi”. Ora, come sempre nei momenti difficili, osserva ancora l’ambasciatore, si torna a parlare di un’Europa a più velocità.

“Ma la doppia velocità – mette in guardia Cangelosi – potrebbe nascondere l’idea di ‘nocciolo duro’ dell’Eurozona dal quale verrebbero esclusi Paesi con alto debito e bassa produttività. Mentre le velocità differenziate consentirebbero di dare risposte ai problemi reali dei cittadini intervenendo in primo luogo sui problemi sociali”.

Certo il cancellerie tedesco Helmut Kohl, il presidente francese Francois Mitterand e il presidente del Consiglio Giulio Andreotti, principali artefici dell’intesa firmata a Maastricht, non immaginavano che cosa sarebbe successo un quarto di secolo dopo anche a causa di quella Brexit arrivata sull’onda di un processo anti-federalista avviato fin da allora da Margaret Thatcher e John Major.

Due premier che diedero filo da torcere ai colleghi dell’allora Cee. Prima opponendosi all’avvio della conferenza intergovernativa, aperta nel ’90 sotto presidenza italiana nonostante il voto contrario della Thatcher. E poi negoziando gli opt-out ottenuti da Mayor nel dicembre ’91 su moneta unica e carta sociale.

“Maastricht ha comunque segnato una svolta importantissima” nella storia dell’integrazione europea, ricorda ancora Cangelosi. “E’ stata la riforma piu’ consistente dopo l’atto unico ed ha decretato il passaggio da ‘Comunità economica’ a ‘Unione'” in risposta all’esigenza di aprirsi ai Paesi dell’Est.

Nel ’91 vennero anche fissati due dei parametri – rapporti deficit-Pil e debito-Pil non superiori rispettivamente al 3 e al 60% – da rispettare per essere ammessi nel ‘club’ dell’euro. Numeri discutibili ma indicati per essere il punto di riferimento di una convergenza progressiva delle economie dei Paesi dell’Eurozona ritenuta indispensabile per supportare la moneta unica. Ma anche in questo caso il processo è rimasto incompiuto e i parametri sono ora diventati, agli occhi dei cittadini, niente più che il simbolo del rigore e dell’austerità a cui si imputano oggi tanti problemi.

L’unica strada per riconquistare la fiducia degli elettori, secondo Cangelosi, sarebbe quella di “rilanciare una ‘Unione sociale’ ricorrendo anche a velocità differenziate nell’integrazione tra diversi gruppi di Paesi Ue basata sul welfare e la lotta alla disoccupazione”.

(di Enrico Tibuzzi/ANSA)

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