Ira dello Yemen sul raid Usa, rabbia per civili uccisi e bando

WASHINGTON. – Sono state quelle inquietanti immagini di bambini rimasti colpiti e uccisi in un serrato scontro a fuoco durato 50 minuti durante il raid Usa in Yemen di fine gennaio a far scattare la rabbia che Sanaa ha fatto in modo fosse percepita forte e chiara a Washington.

Il governo non è arrivato a chiedere la sospensione delle operazioni di terra dell’esercito americano, almeno secondo quanto riferito dal ministro degli Esteri yemenita che nega le indicazioni in questo senso circolate in un primo momento, ma di quel raid – il primo ordinato da Donald Trump presidente – lo Yemen vuole adesso parlare con gli americani, chiedendo intanto un’analisi attenta e una “revisione” dell’operazione.

E’ la prima ‘grana’ militare per Trump commander in chief: la Casa Bianca ha definito l’operazione un “successo”, pur rammaricandosi per la perdita di uno dei militari Usa, il Navy Seal 36enne William Owens, il primo caduto dell’era Trump.

Si apre tuttavia un fronte nei rapporti con i Paesi chiave per la lotta al terrorismo che sconfina dal piano strettamente militare ad una sensibilità più ampia anche alla luce dell’ordine esecutivo con cui il presidente ha disposto il bando temporaneo agli ingressi negli Usa per persone provenienti da sette paesi a maggioranza musulmana, tra cui lo Yemen.

Per questo l’ipotesi di un possibile ritirato agli Stati Uniti del permesso per compiere missioni antiterrorismo nel Paese è da considerarsi un monito chiaro. Rappresenterebbe infatti un deciso passo indietro per la strategia del nuovo presidente Usa, che è quella di un’azione più aggressiva nei confronti dei gruppi del terrorismo islamico come l’Isis e al-Qaida.

E un possibile elemento di valutazione, importante, per le decisioni da questo punto in poi dell’amministrazione Trump. Dalla campagna elettorale in poi il tycoon non ha mai mancato di promettere prima e garantire poi una lotta determinata all’Isis e al terrorismo in generale.

E se il decreto sul ‘bando’ ne è diventato il cavallo di battaglia in termini di ‘sicurezza interna’ (con l’acceso dibattito nonchè la battaglia legale che ne è conseguita), resta da chiarire quale sia la strategia del Pentagono a questo punto.

In particolare – come ricorda anche il New York Times – capire se il Pentagono abbia ricevuto da Trump maggiore autonomia nel selezionare e compiere le sue missioni antiterrorismo. Una richiesta che durante l’amministrazione Obama era stata più volte respinta dalla Casa Bianca. Mentre Trump ha più volte sostenuto la necessità di dare di più carta bianca a Pentagono ed esercito. In questa chiave diventa cruciale il rapporto degli alleati ‘sul campo’.