La minoranza del Pd davanti al rebus della scissione

ROMA. – Scissione. Il bivio per la minoranza Pd adesso è questo. Michele Emiliano, Pier Luigi Bersani, Roberto Speranza ed Enrico Rossi intervengono in direzione per chiedere a Matteo Renzi di fare con calma, per permettere un confronto “vero” e non una “conta” delle tessere, una gazebata in cui si votano le “figurine” dei diversi candidati.

Ma la maggioranza Dem decide di andare avanti sulla via tracciata dal segretario: questo weekend l’assemblea convocherà il congresso. E gli esponenti della minoranza si batteranno per frenare la “corsa” di Renzi, a partire dalla discussione sulle regole. Ma il rischio, avvertono, è che il partito si sfasci. Massimo D’Alema è in platea, dopo lunga assenza, ma tace.

“Un congresso ad aprile senza conoscere la legge elettorale, senza sapere quante sezioni sono commissariate e con la Pasqua in mezzo è una di quelle cose che fa rischiare la scissione”, avverte Emiliano. Il presidente della Puglia scende ufficialmente in campo per contendere a Renzi la segreteria: “E’ una cosa che sento di fare, necessaria”, dice Emiliano raccontando al segretario quanto abbia deluso pure uno come lui che lo aveva sostenuto nel 2013.

E così sono già tre i candidati della minoranza: il bersaniano Speranza e il presidente della Toscana Rossi si erano già fatti avanti. Il tentativo però sarà arrivare a un nome unitario. Anche perché, è la convinzione dei contendenti della minoranza, battere Renzi non è più impossibile: nelle primarie aperte si può portare a votare quel pezzo di sinistra (la sinistra del No al referendum) che, come dice nel suo intervento Speranza, una scissione dal Pd l’ha già di fatto “consumata” e con cui si deve adesso cercare di “ricucire”.

In chiave unitaria qualcuno nella minoranza, a microfoni spenti, avanza l’idea che tutti i tre candidati facciano un passo indietro a favore di un nome che metta tutti d’accordo. E gli occhi sono puntati su Andrea Orlando. Il ministro della Giustizia nel suo intervento in direzione smentisce sue ambizioni da anti-Renzi, le definisce invenzioni. Ma su tempi e modi del congresso consuma il primo “strappo” nella maggioranza Dem.

Orlando torna a proporre una conferenza programmatica, un momento di riflessione che possa permettere anche di “evitare di scaricare le tensioni del Pd sulla tenuta del governo”. Renzi però respinge la proposta come superata. E Orlando, con altri tre esponenti della maggioranza, non partecipa al voto finale. In assemblea, anticipa, avanzerà di nuovo la sua proposta.

I toni, intanto, si fanno drammatici. Gianni Cuperlo, che non è in platea al momento del voto finale e appare al momento il più prudente degli esponenti di minoranza, cerca di ricucire ma avverte: “Il congresso non si riduca a una conta delle tessere. Oggi il Pd è un progetto seriamente a rischio. Serve una sterzata o andremo verso la sconfitta come balene spiaggiate”.

“Non facciamo le cose cotte e mangiate, no al solipsismo. Organizziamo anche in preparazione del congresso luoghi di discussione”, è l’appello di Bersani. Anche la prodiana Sandra Zampa, con l’area Rete Dem, vota contro la linea di Renzi. Il percorso sul quale trovano una posizione comune Bersani, Rossi e anche Emiliano (in un primo momento era per tempi più accelerati) è quello di un congresso a ottobre, garantendo intanto a Gentiloni la permanenza al governo fino a fine legislatura.

La linea che passa è però quella di una sfida per la leadership in tempi più brevi. Nei prossimi giorni la minoranza darà battaglia perché l’assemblea e la nuova direzione che dovrà essere convocata subito dopo frenino i tempi. E sulle regole della contesa chiedono di avere voce in capitolo. “Congresso subito d’accordo, ma no congresso lampo. Siamo alla sindrome di Forrest Gump”, afferma Francesco Boccia. Adesso cosa farà la minoranza? “Vedremo”, risponde andando via Bersani. La scissione ora nessuno si sente di escluderla.

(di Serenella Mattera/ANSA)

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