Trump trema, non fu solo Flynn a flirtare con Mosca

NEW YORK. – La ‘Russian connection’ ora rischia davvero di travolgere Donald Trump. Cominciano a pensarlo in molti a Washington, dopo la drammatica escalation delle ultime ore. Ore in cui la Casa Bianca è stata costretta a licenziare il consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn e si è trovata sotto attacco per le nuove rivelazioni del New York Times: durante il 2016 diversi personaggi dell’inner circle del tycoon sono stati “ripetutamente in contatto” con esponenti dell’intelligence russa, e non solo.

Il cerchio, insomma, rischia di stringersi sempre di più attorno al presidente americano. E se i democratici già evocano lo spettro del “tradimento”, anticamera dell’impeachment, anche tra i repubblicani comincia a serpeggiare un forte nervosismo per quello che il senatore John McCain ha riassunto come “caos totale” alla Casa Bianca, dove “nessuno è al timone”. Tantomeno il Commander in chief , prigioniero di un braccio di ferro tra le varie anime del suo ‘cerchio magico’.

Si moltiplicano così gli appelli bipartisan in Congresso per avviare una vera e propria inchiesta. L’imbarazzo del presidente appare evidente. Perché se su Twitter torna a scagliare i suoi strali contro gli 007 e l’Fbi per la fuga di notizie (“danno illegalmente informazioni segrete ai media come fossero caramelle”), incontrando i giornalisti nel corso della conferenza stampa congiunta con Benjamin Netanyahu si mostra teso e rifiuta di rispondere sul merito della vicenda. Inutile insistere: una stretta di mano veloce col premier israeliano e poi via dalla sala gremita di reporter.

Non solo l’ex generale dei marine Flynn, dunque, ha intrattenuto rapporti con i russi, in contatto con l’ambasciatore di Mosca a Washington per discutere di sanzioni. Trump e Barack Obama sono stati informati a suo tempo dagli investigatori, ma la Casa Bianca ha impiegato settimane prima di assumere una iniziativa. Quando – sostengono i detrattori – non ne ha potuto più farne a meno.

Adesso però da diverse intercettazioni telefoniche – rivelano fonti dell’intelligence Usa al New York Times – emerge come più di un responsabile della campagna elettorale del tycoon (e anche personaggi che ruotano attorno al suo business) hanno avuto ripetuti scambi con funzionari e agenti russi.

In primis (ed è l’unico nome citato) Paul Manafort, per parecchi mesi presidente della campagna di Trump ed ex consulente politico del governo Yanukovic in Ucraina, dove rappresentava alcuni interessi pro-russi. “Ma non ho mai avuto alcun legame con il governo di Mosca e con l’amministrazione Putin”, continua a ripetere in queste ore Manafort. Mentre da Mosca il Cremlino si appresta a precisare come quelle comparse sui media Usa siano vere e proprie ‘bufale”

Le intercettazioni in questione riguardano in particolare alcune telefonate tra funzionari e responsabili di intelligence russi, spiati nel corso delle indagini sulle sospette interferenze del Cremlino sul voto delle presidenziali Usa. Indagini che mirano anche a individuare le responsabilità dell’hackeraggio ai danni del partito democratico durante la campagna elettorale.

Lo stesso Nyt riporta comunque come gli investigatori al momento non hanno elementi per concludere che ci sia un legame tra tali interferenze e la campagna di Donald Trump. Intanto c’è da colmare il vuoto di potere causato dalle dimissioni di Flynn. E tra i vari nomi che circolano in pole sembra esserci quello di Robet Howard, ex Navy Seal amico del segretario alla difesa, il generale James Mattis. Sarebbe lui “la prima scelta” di Trump, spiegano fonti ben informate, mentre sembra tramontare la candidatura dell’ex capo della Cia David Petraeus.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)