Mani Pulite: Di Pietro, il malaffare si è evoluto

Una foto d'archivio del sostituto procuratore Antonio Di Pietro, durante un'udienza in Tribunale.
Una foto d'archivio di Antonio Di Pietro, sostituto procuratore, durante un'udienza in Tribunale.
Una foto d’archivio del sostituto procuratore Antonio Di Pietro, durante un’udienza in Tribunale.

MILANO. – “Da una parte rimane l’amarezza nel constatare che nonostante tutto quel che ha scoperchiato Mani Pulite, il sistema della corruzione e del malaffare nella pubblica amministrazione è rimasto ma non come prima: si è ‘ingegnerizzato’ per garantirsi maggiore impunità. Dall’altra parte bisogna sottolineare, come dimostrano le inchieste quotidiane, che la magistratura, nella lotta alla corruzione, non ha abbassato la guardia”.

A 25 anni di distanza dall’avvio dell’inchiesta Mani Pulite è la “riflessione a due facce” di Antonio Di Pietro, ex pm e tra i protagonisti, accanto a Piercamillo Davigo, Gherardo Colombo e all’allora Procuratore della Repubblica di Milano Francesco Saverio Borrelli, di quella stagione cominciata il 17 febbraio 1992 con l’arresto di Mario Chiesa.

Le parole di Di Pietro non sono inedite. Le va ripetendo da tempo e spesso in occasioni pubbliche. L’ultima una decina di giorni fa al Palagiustizia milanese dove l’incontro per celebrare il venticinquesimo anniversario dalla nascita dell’indagine, la quale ha comunque ridisegnato la geografia dei partiti italiani, è andato semi deserto.

In quell’occasione, davanti a una platea risicata, e a fianco di Davigo, ora presidente del’Anm, aveva affermato: “Tangentopoli è ancora qui” mentre “Mani Pulite è finita” e da allora ad oggi l’unica cosa che è cambiata è che adesso “c’è desolazione da parte dell’opinione pubblica perché non crede più che possa cambiare qualcosa”. E la dimostrazione è “quest’aula che vedo vuota”.

Ancora oggi, sentito al telefono, Di Pietro ha ricordato che “Mani Pulite non aveva scopi politici ed è stata solo una inchiesta giudiziaria che ha preso ‘con le mani nella marmellata’ anche i politici. Non è stata colpa della magistratura – ha aggiunto – se a rubare erano politici, uomini delle istituzioni e funzionari pubblici”.

Tutt’altra cosa Tangentopoli: “Era il sistema del malaffare. C’era allora e c’è adesso”, solo che adesso si è in sostanza riprogrammato in modo più sofisticato per garantirsi sempre più l’impunità. Un sistema che non è stato intaccato visto che nella classifica mondiale dell’Indice di percezione della corruzione (Cpi) elaborata da Transparency International, l’Italia è al sessantesimo posto ed è terzultima in Europa, seguita da Grecia e Bulgaria.

Qualcosa ha fallito? “Ha fallito chi doveva attivarsi affinché ci fossero leggi, mezzi e prevenzione… E non voglio aggiungere altro”.

(di Francesca Brunati/ANSA)