Renzi ora punta alle primarie per il nove aprile: “Basta perdere tempo”

ROMA. – L’epilogo dell’assemblea del Pd per Matteo Renzi era già scritto. “Avevano già deciso di uscire”, dicono a fine giornata i renziani, soddisfatti per come il leader abbia tolto durante l’assemblea “ogni alibi” alla minoranza e dimostrato a tutti, anche nella maggioranza, di avere le redini del partito.

Ma, più che indugiare nella nostalgia, Renzi guarda già avanti, convinto che non ci sia più tempo da perdere: a questo punto, senza la minoranza, il congresso può chiudersi con le primarie il 9 aprile per buttarsi poi, con una nuova legittimazione, nella campagna per le amministrative.

La strategia dell’assemblea, raccontano i fedelissimi, era stata costruita con attenzione: un discorso, quello di Renzi, netto senza essere offensivo, una copertura “a sinistra” con interventi dal palco di esponenti ex comunisti, come l’ex sindacalista Cgil Teresa Bellanova e Piero Fassino per dimostrare che il Pd, anche senza la minoranza, non diventa un monocolore ex Dc.

La linea era di non dare pretesti alla sinistra interna ma neppure appigli per poter dimostrare di aver piegato il segretario che, a scanso di equivoci, evita anche la replica finale chiesta da Pier Luigi Bersani. Fino alla fine, nella maggioranza hanno sperato che Michele Emiliano restasse della partita, rompendo con i bersaniani.

“Adesso sono fatti loro”, è l’addio senza rimpianto dei pasdaran. Anche senza la minoranza, il congresso si farà comunque. Si guarda alle mosse di Andrea Orlando che nel suo intervento ha tentato un’ultima mediazione attaccando i “tifosi” di entrambi i fronti. E tra i renziani si scommette anche sulla candidatura di Cesare Damiano, che nel suo intervento ha detto che non si iscrive “al monocolore di Renzi” ma darà “battaglia aperta, dialettica” dentro il Pd.

Il leader dem ha già in mente la sua cavalcata che comincerà da dove è cominciata la storia del Pd: al Lingotto di Torino il 10 e 11 marzo. Poi una campagna in giro per l’Italia per dimostrare, sono certi i fedelissimi, che sui territori la scissione è limitata. Anche perchè, avvertono, “in vista delle amministrative siamo noi gli unici a poter dare il simbolo a chi si vuole candidare”, chi esce dal partito dovrà correre sotto altre insegne.

Ma su un tema Renzi avrebbe dato garanzie a tutte le componenti del partito: la finestra di giugno per le elezioni politiche resta comunque esclusa. I tempi ci sarebbero pure ma, spiegano dalla maggioranza, al netto della necessità di mettere mano alla riforma elettorale, ancora in alto mare in Parlamento, l’ex premier, fresco di conferma alla guida del Pd, non ha fretta. Settembre, invece, resta una possibilità ma, dicono ai vertici del Pd, è ancora presto per decidere.

(di Cristina Ferrulli/ANSA)

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