Bush contro Trump: “I media indispensabili alla democrazia”

Bush, Obama e Clinton
Bush, Obama e Clinton

WASHINGTON. – “Una stampa libera è indispensabile per la democrazia”: a lanciare l’affondo contro la guerra ai media dichiarata da Donald Trump è uno dei suoi predecessori, George W. Bush, anche lui repubblicano ma schierato per la difesa dei valori della democrazia americana, anche se l’ha ingannata con la guerra in Iraq.

“Il potere può creare dipendenza e può essere corrosivo. Ed è importante che i media mettano di fronte alle proprie responsabilità chi abusa del potere”, ha osservato in una rara intervista tv concessa alla Nbc. Bush ha ricordato che quando era in carica insistette a lungo per provare a convincere Vladimir Putin che aveva bisogno di una stampa libera.

“E’ difficile dire ad altri di avere una stampa indipendente, libera, quando non desideriamo averne una noi stessi”, ha osservato. Bush non si è sottratto neppure ad una domanda sul Russiangate, ossia sull’inchiesta dell’Fbi sui presunti contatti tra la campagna di Donald Trump e l’intelligence russa: “Penso che abbiamo bisogno di tutte le risposte. Non sono sicuro di quale sia la giusta via da prendere ma sono sicuro che questa questione richiede una risposta”.

Una prima risposta ha tentato di darla Devin Nunes, presidente repubblicano della commissione intelligence della Camera, che in una conferenza stampa ha ammonito sul rischio di una “caccia alla streghe” nel Russiagate (il riferimento era ai timori di infiltrazioni comuniste del periodo del maccartismo), sostenendo che al momento non “non c’e’ alcuna prova di contatti tra la campagna di Trump e dirigenti del governo russo”.

Nunes si è spinto così oltre da “assolvere” anche l’ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn, costretto a dimettersi in seguito ai suoi contatti con l’ambasciatore russo con cui avrebbe discusso di sanzioni prima dell’insediamento di Trump: il deputato ha riferito di aver ricevuto informazioni sulla trascrizione di una sua telefonata con l’ambasciatore russo ma di non aver sentito nulla di preoccupante sul colloquio.

Peccato però che la credibilità di Nunes sia compromessa: è uno dei parlamentari “ingaggiati” in precedenza dalla Casa Bianca per confutare un articolo pubblicato dal Nyt, il 15 febbraio scorso, in cui si riferiva di “ripetuti contatti” tra l’entourage di Donald Trump e alti dirigenti dell’intelligence russa nell’anno delle elezioni. Una operazione nella quale sarebbero stati coinvolti anche il presidente della commissione intelligence del Senato Richard Burr, nonchè il capo della Cia Mike Pompeo.

Ad orchestrare tutto sarebbe stato Sean Spicer, il portavoce della Casa Bianca, come ha rivelato il sito Axios. Spicer si sarebbe attivato dopo che un dirigente dell’Fbi avrebbe confidato privatamente alla Casa Bianca che l’articolo del Nyt era tutto sciocchezze, rifiutandosi però di correggere il tiro con i media.

Pompeo (cosa inusuale per un capo della Cia) e Burr avrebbero assicurato ai giornalisti del Wp e del Wsj che la storia del Nyt non era vera ma senza fornire dettagli. Nessun giornale ha abboccato e il Wp ha rivelato il giro di telefonate venerdì scorso, suscitando le proteste dei democratici, che ora vogliono una indagine indipendente affidata ad un procuratore speciale.

No comment su questa ipotesi da Trump, che però si sarebbe sfogato dicendo che non chiama in Russia “da dieci anni”. Spicer è finito nella bufera anche per aver fatto controllare i telefoni governativi e personali dei suoi collaboratori per assicurarsi che non siano in contatto privato con giornalisti e non abbiano applicazioni per testi criptati, come Signal e Confide, indicati come una violazione del Federal Records Act.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA)

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