Clemens Fuest: “Riconoscere il populismo dalle proposte di economia”

Clemens Fuest, il presidente dell'Ifo
Clemens Fuest, il presidente dell’Ifo

BERLINO. – Delineare il concetto di populismo, e stabilire cosa lo sia e cosa no, dal punto di vista politico, è già difficile. E ancora più insidioso e interessante è provare a dare una definizione del populismo dal punto di vista economico. Una ricerca sulle “economie populiste” è stata presentata a Berlino, dagli istituti Ces e Ifo. E Clemens Fuest, il presidente dell’Ifo, ha spiegato che questo studio è innanzitutto utile, per fornire dei parametri che aiutino a riconoscere il fenomeno che con la Brexit e l’elezione di Donald Trump sembrano destinati a segnare sempre di più il destino dell’Europa.

“Non ci sono ricerche economiche sul populismo. Ne sono state realizzate alcune soltanto in America latina finora. E quindi abbiamo tentato una definizione. La nostra speranza è che questo possa aiutare a individuare il populismo. Anche perché si tratta di una qualità del dibattito politico in genere – ha affermato – tendenze populiste striscianti si trovano anche nei partiti del mainstream”.

L’economia populista, ha spiegato Fuest, è “nemica delle ong, dei migranti, del Wto, della globalizzazione, tutte realtà ritenute responsabili, secondo i populisti, dei problemi della società”. “I populisti danno risposte radicali, e non accettano che vi siano interessi diversi e che si debba arrivare a compromessi”. Pensano a soluzioni “per il breve periodo”, e “promuovono politiche espansive, con spese statali e indebitamento”.

Anche se, ha concesso l’economista che guida il severo istituto di Monaco, “non tutte le politiche espansive sono populismo”. Un altro elemento delle politiche populiste, stando allo studio, è l’uso del referendum, cui il potere fa ricorso in modo strategico. “Lo si è visto col referendum greco sulle misure di risparmio, e con quello di Cameron sulla Brexit”, ha detto Fuest, affermando che lo strumento referendario sia poco consigliabile “se non ancorato costituzionalmente”.

Proprio partendo dall’analisi di alcuni paesi dell’America latina, ha spiegato ancora Fuest, si può ricavare una specie di “modello” dell’economia populista e delle cose che accadono: “Si tende ad esempio sistematicamente a ignorare il budget, si programmano spese che non si possono coprire ritenendo che ‘tanto ce la si fa comunque’. Si fa lievitare il debito pubblico, quindi c’è una perdita della fiducia dei mercati. A questo punto aumenta l’inflazione, i prezzi finiscono fuori controllo, e alla fine lo standard di vita si riduce del 30-40%, come accaduto in Venezuela”.

L’esito di queste politiche economiche è sempre l’impoverimento del paese. Tuttavia il populismo “è parte di una democrazia”, e va conosciuto più che demonizzato.

(di Rosanna Pugliese/ANSA)