Violenza domestica, prima condanna dell’Italia a Strasburgo

STRASBURGO. – La Corte di Strasburgo ha condannato per la prima volta l’Italia per non aver protetto una moglie e suo figlio dalla violenza ripetuta del marito che ha finito per uccidere il ragazzo e ferire gravemente la consorte. La tragedia secondo i giudici della Corte europea dei diritti umani non è imputabile alle leggi in vigore in Italia, ma all’atteggiamento “passivo” adottato in particolare dalle forze dell’ordine ma anche dai magistrati di fronte agli atti di violenza domestica subiti e denunciati dalla donna.

A ricorrere a Strasburgo, nel 2014, è stata Elisaveta Talpis, una cittadina con doppia nazionalità rumena e moldava. Nel 2011 si era trasferita con il marito moldavo, la figlia diciannovenne e il figlio tredicenne a Remanzacco, in provincia di Udine. “Abbiamo presentato questo ricorso alla Corte di Strasburgo perché nella storia di questa donna ci sono tutti gli elementi di violenza ripetuta, grave e soprattutto sottovalutata e non riconosciuta”, spiega l’avvocato Titti Carrano, uno dei due legali autori del ricorso. E i giudici di Strasburgo le danno oggi ragione, anche se la sentenza non è definitiva e per l’Italia è ancora possibile il ricorso.

I togati ripercorrono uno per uno tutti gli episodi in cui Elisaveta si è rivolta a carabinieri e polizia per le violenze subite, senza che questi andassero oltre la stesura di rapporti. Descrivono anche la notte del 25 novembre del 2013 in cui il marito, ora in carcere condannato all’ergastolo, ha ucciso il figlio Ion di 19 anni e ferito gravemente la donna. Sottolineando come le forze dell’ordine fossero intervenute due volte prima della tragedia.

Puntano il dito sul fatto che, nonostante la donna avesse sporto denuncia contro il marito per lesioni corporali, maltrattamenti e minacce, e avesse chiesto misure urgenti per proteggere lei e i figli, sono passati 7 mesi prima che la donna fosse ascoltata dalla polizia.

E’ stata l’analisi di tutti questi fatti che ha portato alla condanna dell’Italia. In particolare i giudici affermano che “non agendo prontamente in seguito alla denuncia, le autorità italiane hanno privato la stessa di qualsiasi effetto, creando una situazione di impunità che ha contribuito al ripetersi di atti di violenza, che in fine hanno condotto al tentato omicidio della ricorrente e alla morte di suo figlio”.

Una responsabilità che il procuratore di Udine, Antonio De Nicolo, sembra respingere: a suo parere la donna ridimensionò le accuse verso il marito, e bisogna chiedersi “se c’erano i segnali premonitori per cogliere o no questa terribile vicenda”. Il sindaco di Remanzacco, Daniela Briz, che nel novembre 2013 era vicesindaco, afferma che il Comune era all’oscuro della situazione prima della tragedia ma che da allora Elisaveta “è stata presa in carico e le siamo stati vicino non solo dal punto di vista economico ma anche con i nostri servizi sociali”.

L’assessore alla Salute e all’equità sociale del Comune di Udine Simona Liguori, ricordando che quando si verificò la tragedia la famiglia Talpis abitava a Remanzacco (Udine), afferma: “Volemmo ricostruire la vicenda e posi molta attenzione al riguardo all’epoca. Ricordo che ci fu un’offerta di aiuto alla signora ma rifiutò gli alloggi. Ci fu una remissione di querela, volle tornare con il figlio e fare un percorso di vita diverso da quello della messa in protezione”.

Il Codacons vuole comunque che a pagare i 30 mila euro di danni morali e i 10 mila per le spese legali che Strasburgo ha riconosciuto a Elisaveta sia chi ha sottovalutato il caso.

Anche la politica ha preso posizione. Donatella Ferranti, presidente della commissione Giustizia della Camera, afferma che la condanna “esemplare, che non può e non deve ripetersi” vale come “monito a non abbassare la guardia”. Dello stesso avviso è anche Michele Nicoletti, deputato Pd e presidente della delegazione italiana presso il Consiglio d’Europa. E la deputata di Forza Italia Elena Centemero, presidente della Commissione Equality and non Discrimination del Consiglio d’Europa ritiene che la condanna dell’Italia “pone con forza il tema del supporto a chi trova il coraggio di chiedere aiuto”.

(di Samantha Agrò/ANSA)