Pressing del M5s, battaglia sulla sfiducia a Lotti. Renzi nel mirino

Di Maio
Nella foto: Luigi Di Maio (Debole/Bianchi/LaPresse)
Da regole pedoni a fuga cervelli;proposte legge M5S

ROMA. – Il “non poteva non sapere” che spesso echeggiò nelle indagini di Mani Pulite, risuona oggi nella vicenda dell’inchiesta Consip. A pronunciare la frase sono Luigi Di Maio e i capigruppo di M5s, che chiamano in correo Matteo Renzi. Un innalzamento dello scontro politico in chiave giudiziaria che avrà poi il primo passaggio parlamentare: la Conferenza dei Capigruppo del Senato dovrà discutere infatti la richiesta di M5s di calendarizzare subito la mozione di sfiducia al ministro Luca Lotti, richiesta alla quale il Pd si opporrà. Con la probabile soluzione che i tempi per l’arrivo in aula si dovrebbero alquanto allungare.

I primi a domandarsi retoricamente se l’ex premier non fosse a conoscenza dell’inchiesta Consip, sono stati i capigruppo di M5s di Camera e Senato, Vincenzo Caso e Michela Montevecchi. Ma a tirare in ballo esplicitamente Renzi è Di Maio, che dopo aver attaccato Lotti (“siamo al ministro rivelatore delle indagini”), porta l’affondo: “Renzi non minimizzi questa torbida storia di tangenti. Renzi non poteva non sapere”, visto che è coinvolto il papà Tiziano e, per una vicenda collaterale, Lotti.

Il vicepresidente della Camera ha poi sostenuto che la dimostrazione che Lotti sia colpevole, è dimostrata nel fatto che non abbia querelato Marroni, colui che lo ha accusato di avergli rivelato dell’inchiesta Consip. Affermazione che avrebbe fatto sorridere Lotti: essendo stato interrogato dai magistrati – spiega chi lo ha sentito – non c’è bisogno di querela, dato che la eventuale “notitia criminis” della calunnia di Marroni i Pm l’hanno avuta.

Lotti è difeso da quasi tutto il Pd, a cominciare da Andrea Orlando, collega di Lotti al governo ma concorrente di Renzi per la segreteria del Pd. Freddo Michele Emiliano, che continua a sollecitare il ministro dello sport al passo indietro (“ma non spetta a me chiederle”).

Un po’ in difficoltà Mdp. I bersaniani hanno fatto una scissione dal Pd avendo tra gli obiettivi il prolungamento della legislatura alla sua scadenza naturale: ora chiedono in coro le dimissioni di Lotti, che indebolirebbero ulteriormente Renzi, ma anche il governo Gentiloni che vogliono sostenere. La capogruppo in Senato Cecilia Guerra ha detto che Mdp non voterà la mozione di sfiducia, ma che forse presenterà un “documento” critico con il ministro renziano.

Ernesto Carbone, Dem vicino a Renzi critica a sua volta Mdp: “Il garantismo è scritto nella Costituzione. Svendono un valore fondante della sinistra per colpire Renzi, ma non mi meravigliano: è gente abituata a cambiare spesso idea…”.

La mozione non ha i numeri per essere approvata in Senato, visto che può contare solo sui voti di M5s (35), Lega (12), Si (8) e alcuni ex M5s (5). Ma al netto dei numeri il Pd, quando si riunirà la Conferenza dei Capigruppo, si opporrà alla richiesta dei pentastellati di cambiare il calendario dell’Aula per inserire la mozione di sfiducia.

Il “niet” del capogruppo Luigi Zanda, concordata con l’ufficio di presidenza del Gruppo Dem, si baserà su questo ragionamento: se si concedesse uno spazio straordinario ad ogni mozione di sfiducia individuale, allora incentiveremo le opposizione a presentarne molte altre come strumento di ostruzionismo, perché per calendarizzarle dovremmo rinviare le proposte di legge della maggioranza, bloccando così il proprio programma di governo.

E solo questa settimana in Aula ci sono le pdl per il contrasto alla povertà, sulla cittadinanza, sul processo penale e sulla commissione di inchiesta su Mps, e una mozione sul sisma. Insomma, come ha detto domenica il premier Gentiloni, la maggioranza vuole riempire lo scampolo di legislatura continuando a lavorare sulle riforme.

(di Giovanni Innamorati/ANSA)