Bce, Draghi smorza l’ottimismo. Pressione anche dalla Fed

Mario Draghi

ROMA. – Per Mario Draghi si prefigura una nuova sfida al consiglio Bce: calibrare attentamente l’ottimismo per l’inflazione tornata al 2% e la ripresa solida nell’Eurozona con i rischi di una prematura stretta monetaria. La pressione continua ad aumentare sulla Bce, che viaggia con tassi ai minimi storici – -0,40% quello sui depositi – e quasi 2.300 miliardi di acquisti di debito, prevalentemente pubblico, che saliranno almeno fino a dicembre al ritmo di 60 miliardi al mese.

C’è innanzitutto la pressione dei tassi di mercato data dalla Fed, che probabilmente si prepara alla stretta. I trader la vedono come una quasi certezza dopo che la presidente Janet Yellen, il 3 marzo scorso, ha detto che ad “aspettare troppo” si rischia un pericoloso rialzo brusco più avanti. Una valutazione avvalorata dai posti di lavoro creati dal settore privato negli Usa, 298.000 a febbraio, ben oltre l’atteso.

C’è poi l’inflazione nell’Eurozona, raddoppiata in due mesi fino a raggiungere il 2% a febbraio: formalmente siamo al livello desiderato dalla Bce, con la Germania al 2,2%, la Spagna addirittura al 3% quando sei mesi fa era ancora in deflazione.

C’è, infine, il confronto nel consiglio della Bce con i ‘falchi’, capitanati dal presidente della Bundesbank Jens Weidmann che spinge per una decisa revisione al rialzo delle nuove stime d’inflazione.

Draghi dovrà lavorare sodo, alla conferenza stampa di domani, per schivare questi ostacoli. Perché a suo avviso non è arrivato il momento di invertire rotta. Tutti sanno che i prossimi mesi sono pieni di rischi. La ripresa c’è ma, nonostante una crescita 2016 (1,7%) superiore agli Usa, è fragile. Il dibattito sulle tariffe all’export pesa come un macigno.

E dietro l’angolo c’è l’incidente politico: le elezioni in Olanda, Francia, Germania, con i primi due caso ad alto rischio euroscettico, sono una mina che conviene aspettare venga disinnescata.

Ma l’argomento principale di Draghi e delle ‘colombe’ nel consiglio Bce fa perno sull’inflazione ‘core’, depurata dall’energia, che resta sotto l’1%. Sulle aspettative dei mercati per l’inflazione futura, scese sotto l’1,7%. Sul fatto che il rialzo dell’inflazione nominale al 2% è in larga parte l’effetto di un effetto-base dovuto al crollo del petrolio nel 2015, destinato a svanire a fine 2017.

Appare molto difficile, dunque, che Draghi possa ritenere che la fiammata inflazionistica di questi mesi risponda ai criteri da lui stessi indicati per dire ‘missione compiuta’, ossia che l’inflazione sia diffusa, durevole, in grado di reggersi da sola e stabile nel medio termine.

Ci sono i ‘falchi’, che si eserciteranno nella retorica usuale con i quali tuttavia lo scontro si è affievolito: sia con il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, sia con Weidmann che due settimane fa ha detto che la posizione della Bce “rimane appropriata”.

Nessuno esclude, tuttavia, che l’italiano al timone della Bce possa iniziare a dare segnali ai mercati: ad esempio, smettendo di dire che i tassi potrebbero ancora scendere o che i rischi sono al ribasso. Un segnale ai mercati sulla rotta futura da tenere.

(di Domenico Conti/ANSA)