Dieci anni fa il Lingotto di Veltroni, le radici del Pd di Renzi

ROMA. – Dieci anni fa il Lingotto di Walter Veltroni, con un Pd che pensava di essere così forte da poter vincere da solo. Venerdì il Lingotto di Renzi con il Pd indietro nei sondaggi e indebolito dalla scissione. Il partito è lo stesso, il luogo anche, ma tra i due eventi sembra sia passata un’eternità.

Nella storica fabbrica della Fiat trasformata da Renzo Piano in un centro congressi high tech, il 27 giugno del 2007 Veltroni salì sulla tribuna con in mano un fascicolo di 33 cartelle dattiloscritte. Era il suo discorso di candidatura alle primarie, un manifesto politico con cui l’allora sindaco di Roma tracciava la rotta del Partito Democratico che stava per nascere: un partito di centrosinistra, attento alla giustizia sociale e ai diritti e che mettesse in soffitta le litigiose alleanze dell’Unione prodiana.

Anche Renzi, venerdì, andrà a Torino per candidarsi alle primarie del Pd. Ma il clima dei due eventi è completamente diverso. Dieci anni fa intorno al nascituro partito democratico c’era grande ottimismo: gli eredi del Pci (i Ds) e gli eredi della sinistra Dc (la Margherita) avevano deciso di fondersi, il maggioritario spingeva verso l’unione delle forze e il centrosinistra, che aveva Prodi a Palazzo Chigi, era sicuro di poter fare il bis.

Oggi invece il Pd si ritrova orfano di D’Alema e Bersani, la proporzionale nutre la voglia di frammentazione e a una vittoria schiacciante del Pd non crede più nemmeno la mamma di Renzi. Non è un caso, però, che l’ex premier abbia deciso di ricominciare proprio dall’ex stabilimento Fiat. Perché in quella kermesse di dieci anni fa, con tutti gli entusiasmi e le polemiche che seguirono, c’è la matrice del partito che Renzi ha costruito nei suoi anni di leadership.

Tornare nel luogo dove Veltroni lanciò la sua scalata alla segreteria è un tuffo in un passato del quale Renzi si considera erede e continuatore Nel discorso di Veltroni ci sono almeno tre lezioni che il discepolo Matteo ha sempre tenuto a mente. La prima, quella del Pd a vocazione maggioritaria, era l’obiettivo che doveva essere realizzato con l’Italicum: il Pd, nei piani di Renzi, puntava a vincere il ballottaggio, prendersi il premio di maggioranza e governare da solo o con pochi , selezionati alleati senza potere di veto.

Le parole del 2007 oggi stridono con l’impietosa realtà dei sondaggi e con gli scenari che si aprono con il ritorno alla proporzionale. Ma Renzi non ha smesso di pensare a quel 40 per cento preso alle europee e al referendum e le considera ancora attuali: “Il partito democratico deve avere in sé – disse l’allora sindaco di Roma – un’ambizione al tempo stesso non autosufficiente ma maggioritaria. L’elettorato è razionale, mobile, orientato a scegliere la migliore proposta programmatica e la migliore visione”.

Veltroni spiazzò tutti anche quando ruppe il totem dell’antiberlusconismo: “Dobbiamo farla finita con lo scontro feroce e con i veleni, con le polemiche che diventano insulto. Il Paese di tutto questo è stanco, non ne può più. Voltiamo pagina. Gettiamoci alle spalle un modo di intendere i rapporti tra maggioranza e opposizione che non porta a nulla. A nulla, se non a far male all’Italia”.

Parole che Renzi ha fatto proprie anche al di là delle intenzioni di chi le aveva pronunciate, come dimostra il patto del Nazareno. Infine, le riforme: anche in questo caso è stato il Veltroni del Lingotto a indicare il sentiero sul quale si è incamminato Renzi.

Si chiedeva Veltroni: “Perché se i parlamentari eletti direttamente sono 577 in Francia, 646 in Gran Bretagna, 614 in Germania e 435 negli Stati Uniti, in Italia ci devono essere mille tra deputati e senatori? Perché una legge deve passare, per essere approvata, una o due volte in due rami del Parlamento? Perché il governo non può vedere approvate o respinte le sue proposte di legge in un tempo certo? Perché non ridurre, a tutti i livelli, la numerosità di tutti gli organismi elettivi?”.

Sembra di sentire Renzi durante la campagna referendaria. La storia ci dice che dopo il discorso di Torino, Veltroni stravinse le primarie del 14 ottobre 2007 con il 75 per cento dei voti. Oltre tre milioni di cittadini che si misero in fila ai gazebo per scegliere il segretario del Pd. E’ questo il finale del Lingotto che Renzi spera di bissare. Non certo l’altro, che vide Veltroni perdere le elezioni del 2008 contro Berlusconi (prese però un onorevole 33 per cento) per poi dimettersi l’anno seguente da segretario del Pd.

(di Marco Dell’Omo/ANSA)

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