Renzi sposta l’asse a sinistra. Ma irrompe il nodo alleanze

Matteo Renzi durante la seconda giornata di lavori della kermesse organizzata da Matteo Renzi al Lingotto, Torino, 11 marzo 2017. ANSA/ALESSANDRO DI MARCO
Matteo Renzi durante la seconda giornata di lavori della kermesse organizzata da Matteo Renzi al Lingotto, Torino, 11 marzo 2017. ANSA/ALESSANDRO DI MARCO

TORINO. – Sposta l’asse un po’ più a sinistra, Matteo Renzi. E rivendica l’ambizione di un Pd che, con vocazione maggioritaria pur dopo l’improvviso ritorno al proporzionale, sia motore del “cambiamento dell’Italia”, perché sia “più giusta e più forte”.

“Noi siamo il Partito democratico e non torniamo indietro ma vogliamo guardare avanti”, dice Maurizio Martina, classe 1978, nativo Ds, che affianca Renzi nella corsa per il congresso: “Diversi e uniti è possibile”. La prospettiva, afferma Martina che con il suo intervento contende ad Andrea Orlando la rappresentanza della sinistra Pd, è quella di un “nuovo centrosinistra largo e inclusivo”. Non si può, dice a chi come Bersani è andato via, rimettere le lancette indietro e tornare “alle vecchie case madri” e al centrosinistra col “trattino”.

Da Roma, nelle stesse ore, arriva la ‘chiamata’ di Giuliano Pisapia, che chiede al Pd di indicare le alleanze, scegliere il campo di gioco. E’ chiaro, replica Matteo Orfini, che il Pd non può allearsi con Alfano e con un partito che si chiama “Nuovo centrodestra”.

Ma dal palco Dario Franceschini ricorda che la realtà impone di guardare al centro: “Auspichiamo che nel centrodestra nasca un’area moderata con cui dialogare e del resto i numeri ci spingono a questo”, afferma. “Il rapporto con Pisapia è naturale e privilegiato”, afferma Ettore Rosato. Ma invita a guardare al quadro creato dalla legge elettorale.

Dopo le primarie Dem si potrà davvero entrare nel vivo sulla legge elettorale e a quel punto, nonostante un diffuso pessimismo sulle chance di cambiarla, l’impegno ribadito dai renziani è per il Mattarellum o una correzione maggioritaria.

Sergio Chiamparino, che in un applauditissimo discorso dal palco ribadisce di non voler abbandonare la “barca” renziana nel momento della difficoltà perché sarebbe “vigliacco”, invita a non farsi tentare dall’autosufficienza e declinare la parola “egemonia” nel senso di dialogo a sinistra o, se il proporzionale lo imporrà, alleanze.

Ma in quel caso, nota un dirigente renziano, la responsabilità è in capo anche a Pisapia: i parlamentari a lui vicini, ex Sel, siedono nei gruppi “con D’Alema, per il quale Renzi è nemico più di Berlusconi”.

Nella seconda giornata del Lingotto resta in sordina il caso Consip. Luca Lotti, che la prossima settimana affronterà la mozione di sfiducia alla Camera, è assente ma solo per ragioni familiari e domani ci sarà. Nelle discussioni del gruppo di lavoro sulla legalità viene ribadita una linea totalmente garantista. Stefano Graziano, indagato e poi archiviato per associazione camorristica, invoca una legge per tenere segreti gli avvisi di garanzia ma – mentre il magistrato Nicola Gratteri la boccia – il renziano David Ermini frena: il tema è culturale.

Sul palco si alternano ministri, da Claudio De Vincenti a Pier Carlo Padoan. Domani ci sarà Paolo Gentiloni. Emma Bonino, applauditissima, parla di immigrazione e bacchetta Renzi sugli attacchi frequenti ai “tecnici” europei. L’ex premier ascolta dal retropalco e si fa vedere in platea solo sul finale, quando Massimo Recalcati lancia la scuola di formazione politica milanese che si chiamerà Pier Paolo Pasolini.

Il rilancio dell’ex premier passa dal partito – in questo, vien fatto notare, il Lingotto è diverso dalla sua Leopolda della società civile – e da una nuova guida più plurale. Al suo fianco ha una nuova classe dirigente di 30-40enni che si son fatti le ossa da amministratori (da Matteo Richetti al presidente dell’Anci Antonio Decaro, da Giuseppe Falcomatà a Matteo Ricci).

Sul palco torna Maria Elena Boschi, che raccoglie applausi tiepidi, dice che la sconfitta al referendum “è stata dolorosa ma siamo in cammino e la nostra avventura è solo all’inizio”.

Beppe Grillo attacca Renzi: con la piattaforma on-line “Bob”, attacca, copia le idee del M5s. La differenza tra M5s e Pd, replica il renziano Andrea Marcucci, è che loro hanno “venti votanti alle primarie e il Pd un milione”.

L’ex premier si tiene lontano dalle polemiche, anche dagli attacchi di Michele Emiliano che lo definisce “pericoloso”, e invita a guardare alla platea: “Mi emoziono, la nostra forza è un popolo che non si rassegna al catastrofismo”.

(dell’inviato Serenella Mattera/ANSA)

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