Primo colpo al bando-bis dal giudice del Wisconsin

Proteste per il bando agli immigrati a New York.
Proteste per il bando agli immigrati a New York. EPA/ANDREW GOMBERT
EPA/ANDREW GOMBERT

NEW YORK.- Primo schiaffo al bando-bis per gli arrivi da sei paesi a maggioranza musulmana: un giudice del Wisconsin ne ha bloccato l’attuazione per una famiglia di rifugiati siriani, sostenendo che la misura potrebbe causare “danni irreparabili”. La prima sconfitta in tribunale precede l’entrata in vigore del nuovo decreto voluto da Donald Trump e mentre molti Stati americani affilano le armi per una nuova battaglia legale.

Dopo le Hawaii e gli Stati di Washington, New York, Oregon e Massachusetts, anche la California sarebbe pronta a scendere in campo contro il bando che a loro dire, seppur annacquato rispetto alla versione precedente, resta incostituzionale. Nessuna decisione sul ricorso è attesa a breve con il giudice James Robart, il primo a bloccare il precedente bando, che ha chiesto siano depositati documenti supplementari.

In campo contro il bando-bis anche alcuni gruppi in difesa dei diritti degli immigrati, fra i quali l’American Civil Liberties Union che ha chiesto alla giustizia di bloccarlo perché, oltre a discriminare musulmani e rifugiati, è strutturato in modalità che rischiano di renderlo permanente.

Il decreto continua intanto a creare problemi alla famiglia della leggenda del pugilato Mohammed Ali: il figlio è stato nuovamente fermato in aeroporto a Washington, dove si trovava per fare lobby contro il razzismo.

A infliggere la prima sconfitta ufficiale al decreto è stato comunque un giudice federale di Madison, in Wisconsin, che si è pronunciato a favore di una famiglia di rifugiati dello Stato. Un uomo siriano, di cui non è stato diffuso il nome per motivi di sicurezza, si è rivolto al tribunale per difendere i suoi sforzi di far arrivare negli Stati Uniti la moglie e sua figlia di 3 anni, attualmente ad Aleppo.

L’uomo è arrivato negli Stati Uniti nel 2014 per “sfuggire a una morte quasi certa”, ha rivendicato nella sua azione legale. Dallo scorso anno lavora per far sì che la sua famiglia lo raggiunga: il processo è avviato e la moglie e la figlia si preparano a volare in Giordania per i colloqui all’ambasciata americana, ultimo passo prima che le autorità decidano se rilasciare o meno il visto.

Ma le date del colloquio non sono ancora state fissate e, con l’entrata in vigore del nuovo bando il 16 marzo, l’uomo si è rivolto alla corte. E ha vinto. “Apprezziamo le importanti differenze fra il decreto originale e quello rivisto”, ha spiegato il giudice William Conley. Ma in questo caso le ragioni presentate dalla famiglia siriana sono prevalse per il rischio “di danni irreparabili”.

Così è stato emesso un ordine restrittivo temporaneo al decreto presidenziale: una decisione importante, che però non è applicabile a livello nazionale.

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