Sei anni di guerra in Siria. Nuova strage a Damasco

BEIRUT. – Il sesto anniversario dello scoppio delle violenze in Siria è stato segnato da sanguinosi attentati suicidi a Damasco, da raid aerei contro civili nel nord-est del paese e dalla chiusura del terzo round di colloqui ad Astana, in Kazakistan, mediati dalla Russia alleata del governo siriano.

Mentre ad Astana si attendeva, invano, l’arrivo della delegazione delle opposizioni, sostenute dalla Turchia e dall’Arabia Saudita, a Damasco un attentatore suicida si faceva saltare in aria nella sede del Palazzo di Giustizia, a pochi passi dallo storico suq coperto di Hamidiye, causando la morte – secondo media governativi – di 31 persone.

Poche ore dopo, un altro attentatore suicida tentava di seminare il terrore in un ristorante nel quartiere di Rabwe, dove una scolaresca stava festeggiando la festa degli insegnanti. I media governativi non forniscono dettagli: la tv al Mayadin, vicina all’Iran, riferisce di un bilancio di “24 feriti”. L’attentatore, afferma la tv, è stato bloccato all’ingresso e non è riuscito a far esplodere la cintura all’interno della sala.

Nel pomeriggio invece, almeno 22 persone, per lo più civili, sono state uccise in un raid aereo compiuto nella regione nord-occidentale di Idlib, fuori dal controllo governativo. L’attacco, compiuto da un’aviazione non meglio identificata ma che si sospetta possa essere governativa siriana o russa, ha colpito Qusur, una località dove risiedono molti sfollati provenienti da altre zone della Siria e in parte dominata da gruppi qaidisti.

La settimana scorsa l’ala siriana di al Qaida aveva rivendicato un attentato contro pellegrini sciiti iracheni nei pressi del centro storico di Damasco, e circa 40 persone erano morte nell’attacco. Quello della settimana scorsa e gli ultimi attentati possono essere messi in relazione col fatto che i gruppi qaidisti e jihadisti sono esclusi dal regime di tregua in vigore dal 30 dicembre scorso e garantito dal terzetto formato da Russia, Turchia e Iran.

Questi tre paesi, assieme agli Stati Uniti, considerano “terroristi” i gruppi qaidisti e jihadisti, mentre accolgono come parte legittima nei negoziati altri gruppi armati delle opposizioni, tra cui spiccano comunque gruppi radicali. Resta aperto poi il fronte anti-Isis, con la battaglia per la riconquista di Raqqa che sembra sempre più imminente: l’amministrazione Trump è pronta a inviare altri mille soldati, per contribuire all’offensiva, che raddoppierebbero la presenza militare statunitense nel Paese.

Intanto, al terzo round di colloqui di Astana erano presenti le potenze regionali, oltre alla Russia, e la delegazione governativa siriana. Assenti invece le opposizioni armate, che denunciano la volontà di Damasco e dei suoi alleati di imporre la vittoria militare e di tradurla in termini politici.

Di fatto, affermano gli osservatori, con la presa di Aleppo est nel dicembre scorso, i russi, gli iraniani e i governativi siriani hanno vinto la battaglia contro le opposizioni armate, ora costrette a ritirarsi dalle regioni di Homs e Damasco, e che ora potrebbero patire nuove sconfitte a Idlib, Daraa e Hama.

E mentre la mediazione politica dell’Onu a Ginevra è in stallo, il tavolo di Astana va avanti (prossima riunione fissata per i primi di maggio). E di fatto sancisce la spartizione della Siria in zone di influenza assegnate a Iran, Russia, Turchia e Giordania e ai loro clienti locali.

(di Lorenzo Trombetta/ANSAmed)

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