I cento giorni di Gentiloni, il governo guarda alle riforme e al 2018

ROMA. – Cento giorni già alle spalle, e meno incertezza sui trecento che devono arrivare. Paolo Gentiloni taglia il primo traguardo sulla strada del governo, quello simbolico delle tre cifre. La sua missione era rimpiazzare Matteo Renzi in attesa delle elezioni, che dopo la batosta del referendum costituzionale sembravano vicinissime.

Ora il quadro è cambiato, di elezioni anticipate non parla più nessuno, il Pd ha subito una scissione a sinistra e il presidente del consiglio ha tracciato una nuova rotta: non più quella di un traghetto veloce tra due scali ravvicinati (le dimissioni di Renzi e le urne) ma una navigazione in mare aperto, da qui a febbraio del 2018, quando la legislatura finirà.

“Paolo il calmo” è arrivato a palazzo Chigi vestendo i panni di “Paolo il clone”. La foto al Quirinale del suo governo era praticamente identica a quella del governo del predecessore: a parte l’assenza di Renzi, si notava la rossa Fedeli al posto della bionda Giannini, agli Interni il calvo Minniti al posto dello stempiato Alfano, trasferitosi alla Farnesina, e la brizzolata Finocchiaro a prendersi cura delle riforme al posto della castana Maria Elena Boschi, restata al governo come sottosegretaria per i rapporti con il Parlamento. Con queste premesse distinguersi in qualcosa, al di là dalle pettinature, era un’impresa.

Il nuovo premier, quando gli si chiedeva quanto sarebbe durato, rispondeva che il governo sarebbe andato avanti fino a che avrebbe avuto la maggioranza in Parlamento. Frase lapallissiana, ma che tradotta dal linguaggio diplomatico di cui il conte Paolo Gentiloni Silveri da Tolentino è maestro, voleva dire: decide Renzi. Poi le cose hanno preso un’altra piega, e il felpato presidente del consiglio ha cambiato registro. Ora la frase che ricorre è diventata: “andiamo avanti, questo governo non è provvisorio”.

Il tutto con un occhio al processo delle riforme da continuare. Con la quasi certezza di poter arrivare al traguardo finale del 2018 l’esecutivo si è via via affrancato da quell’immagine di “governo balneare fuori stagione” che gli era stata cucita addosso al momento della nascita.

Se al principio l’azione si era concentrata sulle emergenze più scottanti come quella delle banche (il decreto salva risparmio è del 23 dicembre, nove giorni dopo la nascita del governo) e quella dettata dai terremoti nel centro Italia, mano mano che le elezioni anticipate si allontanavano a Palazzo Chigi si è cominciato a modificare il passo.

Ecco dunque arrivare le linee guida del Viminale sulla riapertura dei centri di identificazione e espulsioni dei migranti. Poi, in sequenza, l’abolizione dei voucher per scongiurare la mina referendum e il giro di vite sulla sicurezza.

Ma il punto è sempre quello: quante di queste decisioni sono state prese senza consultarsi con Renzi? la lealtà verso “Matteo”, mai rinnegata da Gentiloni, rischia di consegnare all’ex premier di Rignano il ruolo di suggeritore delle decisioni più impegnative. Con il paradosso che quando Gentiloni procede a un’infornata di nomine pubbliche tutti i giornali le attribuiscono d’ufficio a Renzi.

E’ questo il fardello che graverà su Gentiloni nei prossimi giorni di governo. E che potrebbe causare qualche inciampo quando si tratterà di mettere mano alla scomoda manovra economica autunnale: perché il ministro dell’Economia Padoan, che ha in mano il boccino della legge di bilancio, ha fatto ampiamente capire di non volersi appiattire su Renzi, e allora “Paolo il calmo” dovrà tirare fuori tutta la sua abilità di mediatore.

(di Marco Dell’Omo/ANSA)

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