Morales: “Il Venezuela non è solo”

CARACAS – Botta e risposta. Mentre la diplomazia, dietro le quinte, tesse le alleanze che in definitiva decideranno il futuro del Venezuela nell’ambito dell’Osa, e quindi nel contesto internazionale; alcuni paesi membri e capi di Stato o di Governo cominciano a rendere pubblico il proprio schieramento in vista di una prossima battaglia finale.
L’altro giorno, 14 nazioni – Argentina, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Guatemala, Honduras, Messico, Panama, Paraguay, Perú, Stati Uniti e Uruguay – hanno reso noto un documento in cui si chiede al governo del presidente della Repubblica, Nicolás Maduro, la libertà dei prigionieri politici e una data per le elezioni generali.
I paesi che hanno firmato il documento, dopo aver sottolineato l’importanza del rispetto del ruolo che, come indica la Costituzione, è chiamato a svolgere il Parlamento, spiegano che la sospensione di un membro dell’organismo “è l’ultima risorsa e che, prima di fare uso di questa prerrogativa, è indispensabile percorrere tutte le strade possibili”.
I 14 paesi esprimono preoccupazione per la situazione del Venezuela e assicurano che analizzeranno attentamente il documento presentato dal Segretario Generale dell’organismo e la sua proposta.
La risposta ai paesi che esprimono preoccupazione per la situazione politica e istituzionale del Venezuela è arrivata per bocca del presidente della Bolivia, Evo Morales. Il capo dello Stato, infatti, ha assicurato in un twitt che “il Venezuela non è solo” e che “gli antimperialisti e i movimenti sociali difenderanno le rivoluzioni democratiche”. Sempre attraverso la rete sociale, ha affermato che gli Stati Uniti “non sono riusciti a sconfiggere la rivoluzione del presidente Maduro” ma ora l’Osa e suo Segretario Generale, Luis Almagro, agendo come un ministero della colonia degli Stati Uniti, ci riprovano”.
Per iniziare il cammino che, alla fine dovrebbe condurre all’approvazione della Carta Democratica, la proposta di Almagro deve ottenere almeno il voto favorevaole di 18 Paesi. E cioè, la metà piu uno dei 35 membri dell’organismo. Il risultato, oggi, è assai incerto. Infatti, pur avendo firmato il documento non è sicuro che tutti i 14 paesi votino a favore della mozione del Segretario Generale né che riescano a trovare i 4 voti necessari per ottenere la maggioranza.