Shoah, sopravvissuti ai giovani: “Siete la nostra forza”

AUSCHWITZ. – Le lacrime di Sami Modiano si mischiano con quelle di ragazzi che potrebbero essere suoi nipoti, in un abbraccio spontaneo che è un reciproco ‘grazie’: dal giovane al sopravvissuto per il suo racconto, dal sopravvissuto al giovane per la promessa di non dimenticarlo mai. “Voi – sussurra loro all’orecchio Sami – siete la mia forza”.

Sono le 10 del mattino, lo sfondo è quello di Birkenau, proprio accanto a un vagone piombato uguale a quelli in cui innumerevoli ebrei da tutta Europa arrivarono alla fabbrica della morte di Auschwitz, ideata dal nazismo. I 360 ragazzi del Viaggio della Memoria 2017 della Regione Lazio hanno già gli occhi lucidi, tutti. L’inimmaginabile della Shoah rivive davanti ai loro occhi nelle voci di Sami e delle ‘bambine del lager’ Andra e Tatiana Bucci, 4 quattro e 6 anni all’epoca, così come sulle pagine di Primo Levi, cui è dedicata questa edizione del Viaggio.

“Portate il numero che aveva tatuato sul braccio con voi” si era raccomandato il governatore Nicola Zingaretti, e i ragazzi hanno raccolto l’invito, indossando lo zainetto donato loro dalla Regione con stampate le cifre ‘174517’.

“All’arrivo qui – racconta ancora Modiano – Mengele divideva chi era destinato alla morte immediata e chi alla vita provvisoria. Ma tutti dovevamo morire”.

L’80% di chi arrivava, spiega il direttore scientifico del Museo della Shoah di Roma, Marcello Pezzetti, moriva all’arrivo, nelle camere a gas dove era costretto a lavorare Shlomo Venezia, col tragico incarico di tagliare i capelli ai suoi compagni appena morti di morte atroce. La vedova di Shlomo, Marika, lo racconta ai ragazzi.

Andra e Tatiana allora erano bambine – a salvare loro la vita il fatto che furono prese per gemelle, e quindi interessanti per i medici nazisti – ma non dimenticano immagini e odori: “Si vedeva il camino con fiamme e fuoco continuo – spiegano – e avevamo capito che molti di noi uscivano da quel camino”.

Sensazioni che invece per l’adolescente Sami erano certezze: “O camino, o suicidio sul filo spinato, o morire per la magrezza, io pesavo 25 chili: sapevamo che l’unica via d’uscita era la morte, e spesso la cercavamo”.

Di fronte alle rovine del krematorium suonano le note dello shofar, il corno usato nella liturgia ebraica, si alzano le parole dei Salmi. Chi non moriva subito, veniva rapato, disinfettato, marchiato con un numero sul braccio: “Tra me e mio padre – racconta Sami ai ragazzi – un numero di differenza. Ma lui ‘aveva’ il numero, io ‘ho’ il numero. Quando ci hanno fatto questo abbiamo capito che ci avevano tolto, con il nome, la dignità: non eravamo più persone”.

Il cammino dei ragazzi del Viaggio prosegue, su tracce vecchie di settant’anni, fino ai kinderblock, le baracche dei bambini. In una di esse vissero parte della loro infanzia Andra e Tatiana, nella paradossale ‘normalità’ dell’orrore‎: “Ci siamo adattate con grande facilità anche alla morte. Noi giocavamo – raccontano le sorelle – accanto a cumuli a piramide di cadaveri. Li vedo ancora, se chiudo gli occhi. Erano bianchissimi. Non ricordo di aver mai pianto allora, io piango adesso. Questo mi fa riflettere e mi fa paura.‎Nostra madre ci veniva a volte a trovare, ci ripeteva il nostro nome”.

Non perdersi, mentre tutto è orrore. “Io – conclude Tatiana Bucci – qui ho capito che ero ebrea. E pensavo che noi ebrei dovessimo in qualche modo vivere cosi”. La Storia, però, ha preso una piega diversa, e oggi le ‘bambine del lager’ e Sami Modiano sono ancora tra noi a passare il testimone, lo stesso di Levi. Parlare con i giovani, scriveva, “lo percepiamo come un dovere”.

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