Mafia Roma: organizzazione nuova, dalla strada agli appalti

ROMA. – Una mafia nuova senza esserlo davvero, che ha fatto il salto di qualità passando dalla strada agli appalti e che non ha bisogno di imporre la propria forza con la violenza, perché può contare su un “capitale criminale originario” che ha le radici in quella Roma in cui comandavano la banda della Magliana e l’eversione nera. Una mafia che ha retto alla prova del processo perché “totalmente inattendibili” i principali imputati, Salvatore Buzzi e Massimo Carminati.

Dopo un anno e mezzo e centinaia di udienze, la procura di Roma chiude il processo a Mafia Capitale così come lo aveva aperto svelando l’indagine: il mondo di mezzo è un’associazione mafiosa che ha fatto dell’intimidazione e dell’omertà il suo modus operandi.

La requisitoria del procuratore aggiunto Paolo Ielo e dei sostituti Giuseppe Cascini e Luca Tescaroli, che si concluderà il 26 aprile con le richieste di condanna, è tutta incentrata su questo punto, perché non sfugge a nessuno che l’intero processo si gioca su quell’articolo del codice penale, il 416 bis. E allora, Buzzi e Carminati sono i capi di una “nuova mafia che non è nuova, diversa da tutte le altre perché nasce in questa città”.

Quando? Tra gli anni ’70 e ’80, nella commistione tra banda della Magliana ed eversione nera. Una commistione in cui l’ex Nar ha un ruolo fondamentale. Non solo perché di quegli anni è un protagonista, ma perché da allora si è assunto, assieme a personaggi di un certo spessore criminale come Michele Senese e Carmine Fasciani, il ruolo di “garante” di una “pax” cittadina in una Roma senza un unico padrone, in cui “non si ammazza e non ci sono guerre”.

Quell’organizzazione però è cambiata, ha fatto “il salto di qualità, si è emancipata” passando dalla “criminalità di strada agli appalti”, dice Cascini, dal “mondo di sotto al mondo di sopra”. Un cambiamento possibile grazie alla “convergenza di interessi” dei due principali protagonisti: Carminati e il suo gruppo, “portatore delle attività di usura ed estorsione” e di una mai nascosta “riserva di violenza”, e Buzzi, che si porta dietro “l’illecita assegnazione degli appalti”, corrompendo funzionari pubblici e alterando le gare.

I due mettono così insieme il “know how”, dicono i pm, e si prendono Roma. La procura è convinta che questa impostazione non è affatto stata scalfita dal processo. Primo perché Buzzi e Carminati sono “inattendibili”: Buzzi, un “caso di scuola, totalmente e radicalmente inattendibile”; l’ex Nar con un tasso di attendibilità “pari allo zero”.

E secondo perché il “cuore” del processo, le intercettazioni, non sono smentite: altro che “chiacchiere di quattro amici al bar”. Telefonate “spontanee e credibili”, che hanno “resistito ad ogni usura probatoria”: l’associazione “è la stessa del 2011, non si è sgonfiato nulla”. Se invece di Carminati e Buzzi al telefono ci fossero stati calabresi o siciliani, domanda Ielo, “non li avremmo ritenuti credibili?”

Ecco perché da parte dell’accusa “non c’è nessuna guerra”, né “si è barato”, come sostiene invece l’ex Nar. C’è stata, invece, una “par condicio” con tutti gli altri processi come questo” . Un processo di Mafia, dove le prove vanno valutate “complessivamente. Mafia Capitale è una storia che parte dai pollici spezzati dietro al benzinaio e arriva al sindaco della città”.

(di Matteo Guidelli e Marco Maffettone/ANSA)

Lascia un commento