WASHINGTON. – C’è anche L’Espresso tra i vincitori del Premio Pulitzer nella categoria giornalismo divulgativo assegnato alle testate che insieme con il consorzio internazionale di giornalismo investigativo (Icij) – di cui fa parte l’Espresso appunto – hanno condotto la mega-inchiesta che ha svelato i ‘Panama Papers’. Ovvero quella montagna di documenti che ha rivelato movimenti di denaro transitato o depositato nei paradisi fiscali da parte di personalità dello spettacolo, dello sport, politici, imprenditori di tutto il globo, possibile grazie alla collaborazione di oltre 300 giornalisti sparsi in tutto il mondo.
Un lavoro gigantesco, cominciato nel 2015 fino alla pubblicazione un anno fa di numerosi articoli su diverse testate e ripresi dai media di tutto il mondo. I reporter coinvolti nell’impresa hanno spulciato 11 milioni di documenti, a partire da quelli dello studio legale di Mossak Fonseca, per tracciare poi la fitta rete di stratagemmi, comprese società offshore, utilizzate per avere vantaggi fiscali o muovere capitale in maniera indisturbata.
Almeno 800 gli italiani interessati. Si tratta di uno dei riconoscimenti giornalistici più importante al mondo, il primo per la stampa anglosassone, che viene assegnato annualmente dall’apposita commissione presso la Columbia University.
Quest’anno il reporter del Washington Post David Fahrenthold ha vinto il premio nella categoria ‘National reporting’ per la sua inchiesta sulle fondazioni benefiche di Donald Trump, condotta durante la campagna elettorale.
Il riconoscimento nella categoria ‘servizio pubblico’ è andato al New York Daily News e a ProPublica (sito di giornalismo investigativo) per un’inchiesta sul dipartimento di Polizia di New York, al Charleston Gazette-Mail il miglior premio per giornalismo investigativo con una inchiesta sul consumo di oppiacei e il New York Times si aggiudica riconoscimenti in tre categorie: miglior fotografia per ‘breaking news’, migliore copertura sugli Esteri e migliore approfondimento.
