Brexit: altolà della Bce alle banche, no a società fittizie in Ue

ROMA. – L’Europa, o almeno le istituzioni europee, fanno quadrato di fronte agli anni di negoziato per gestire il divorzio con la Gran Bretagna. E la Bce non è da meno, con un altolà, fatto pervenire alle banche, a qualsiasi tentativo di aggirare le regole continuando a utilizzare l’enorme mercato europeo da Londra una volta abbandonato il mercato comune, e a muoversi per ottenere la licenza per poter operare nell’Eurozona.

“Non accetteremo scatole vuote”, avverte la Banca centrale europea, ossia niente operatività nell’area euro facendo base a Londra e limitandosi ad aprire filiali-fantasma in uno dei 19 paesi della moneta unica: un messaggio alle banche, ai fondi d’investimenti, alle holding finanziarie che fanno i conti con la Brexit e con la possibile perdita del passaporto bancario europeo con cui oggi possono operare nell’Eurozona da Londra.

In un documento per le banche che stanno valutando di spostare la propria sede dopo l’attivazione dell’articolo 50 da parte di Londra che ha attivato il divorzio dall’Ue, la Bce chiarisce che, anche se la banca venisse giudicata ‘non significant’ ricadendo nella vigilanza nazionale del Paese prescelto, e in quella della Bce, l’Eurotower mantiene un potere di controllo ed è responsabile nel concedere le licenze bancarie.

Nessuna ‘corsa al ribasso’, dunque, nessun escamotage – magari con accordi con governi a autorità nazionali un po’ più accondiscendenti con Londra pur facendo parte dell’Euro – per aggirare le regole comuni. L’operatività nell’Eurozona delle banche deve essere sostanziale e non fatta attraverso società fittizie. Devono avere governance e gestione dei rischi nell’Eurozona con personale e risorse adeguati, e un altrettanto adeguato controllo “sul loro bilancio e le esposizioni”.

Difficile offrire il trading o la gestione del risparmio senza spostare da Londra una quota importante del personale: un macigno sulla ‘hard Brexit’ prefigurata da Theresa May. Secondo il fondo Algebris di Davide Serra Londra si gioca nella partita 170 miliardi di sterline, il 7% del Pil, mentre una ricerca di TheCityUk stima un esodo di 70.000 impiegati nell’industria finanziaria verso Francoforte, Parigi, Dublino, Lussemburgo o Milano nel caso di un ‘muro contro muro’ prefigurato dalla premier inglese.

E dalla Bce arriva anche un avvertimento sui modelli di rischio interni delle banche, che saranno permessi solo in via temporanea ma poi dovranno essere approvati, e un invito pressante alle banche ad accelerare le procedure per operare nell’Eurozona. Ci vogliono fra i sei e i 12 mesi perché venga presa una decisione a partire dalla domanda degli istituti di credito, e dunque le banche devono darsi un piano “per essere sicure di ottenere la licenza bancaria in tempo” in vista dell’uscita ufficiale della Gran Bretagna dall’Ue, a marzo 2019.

E’ solo un assaggio dei fendenti che probabilmente si vedranno in questi due anni di negoziato, anche se, sul piano politico, molto dipenderà dai governi. Le istituzioni europee non sembrano intenzionate a lasciare a Londra i benefici del mercato comune senza gli oneri della libera circolazione.

(di Domenico Conti/ANSA)

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