Trump lancia la guerra dell’acciaio, nel mirino la Cina

Nel 2017 l'Ue ha esportato 5 milioni di tonnellate di acciaio verso gli Usa. (STR/AFP/Getty Images)
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WASHINGTON. – “American first”: fedele al suo mantra, Donald Trump apre il primo fronte di guerra commerciale sull’acciaio, mettendo di fatto nel mirino la Cina, nonostante il tentativo di coinvolgerla nella crisi nord-coreana. E ignorando l’appello lanciato a Washington dal direttore generale del Fmi, Christine Lagarde, che aveva invitato a ridurre le distorsioni commerciali, come i sussidi, ma anche ad evitare “misure protezionistiche”.

Il presidente americano ha firmato nello studio Ovale un memorandum per lanciare un’inchiesta che accerti se l’import di acciaio straniero minaccia la sicurezza nazionale, favorendo un rialzo in Borsa delle azioni delle società del settore. Per farlo non ha esitato a rispolverare una vecchia legge del 1962, il Trade Expansion act, che consente di imporre sanzioni commerciali urgenti sull’importazione di prodotti che mettono a rischio la sicurezza nazionale (l’acciaio è usato ad esempio per le blindature dei mezzi militari). Una legge usata negli anni ’70 durante la crisi petrolifera e più recentemente nel 2001, sempre nel caso dell’acciaio. La normativa concede 270 giorni di tempo per l’indagine ma Trump ritiene che essa possa essere completata in 50 giorni.

“Oggi è un giorno storico per l’acciaio americano”, ha commentato, circondato dai rappresentanti delle principali aziende Usa del settore. “Mantenere la produzione dell’acciaio americano – ha spiegato – è estremamente importante per la nostra sicurezza nazionale e per la nostra industria di base della difesa. L’acciaio è cruciale sia per la nostra economia che per il nostro esercito, non è un’area dove possiamo tollerare di diventare dipendenti da paesi stranieri”.

A chi gli chiedeva se questa mossa non avrà conseguenze su Pechino, cui Trump ha chiesto di usare tutte le sue leve per fermare la Corea del nord, il presidente ha risposto che il suo provvedimento “non ha nulla a che fare con la Cina ma col mondo intero. Il problema del dumping è un problema mondiale”.

Ma è stato il suo segretario al commercio Wilbur Ross, incaricato dell’indagine, a mettere in chiaro le cose. La Cina, secondo Ross, ha aumentato il suo export di acciaio in Usa “nonostante le promesse di ridurlo” e ora controlla il 26% del mercato, con un “grave impatto sull’industria nazionale”.

C’è stato un aumento di circa il 20% solo nei primi mesi di quest’anno, ha sottolineato. E pensare che un tempo l’acciaio americano faceva la parte del leone nel mondo, con circa il 20% della produzione: ora è sceso a meno del 5%. Tra i maggiori fornitori di acciaio agli Usa, oltre alla Cina, ci sono Canada, Brasile, Corea del sud, Messico, Giappone e Germania.

L’American Iron and Steel Institute, che fa lobbying per il comparto, plaude naturalmente alla mossa della Casa Bianca: “la massiccia sovraproduzione di acciaio ha causato l’arrivo negli Usa di livelli record di acciaio straniero a basso costo e sussidiato, con la perdita di circa 14 mila posti di lavoro”.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA)