Fmi: si chiude l’assemblea con lo spettro del protezionismo

WASHINGTON. – Il protezionismo, protagonista indesiderato delle riunioni del Fmi, le prime dell’ amministrazione Trump. E proprio il nuovo inquilino della Casa Bianca sembra avere un peso nel cambio del linguaggio del comunicato finale dell’Ifmc (International Monetary and Financial Committee), il braccio esecutivo del Fmi, da cui il termine ‘protezionismo’ scompare. Gli Stati Uniti, primo azionista del Fmi e unico paese con diritto di veto si difenderanno vigorosamente da pratiche commerciali scorrette” dice Steven Mnuchin, il segretario al Tesoro americano.

Criticando i paesi con un elevato surplus, al quale chiede di agire ”aggressivamente” a sostegno della crescita e verso un riequilibrio, Mnuchin – al suo esordio al Fmi – ribadisce la posizione americana anche sui tassi di cambio, che non devono essere soggetti a svalutazioni competitive. Il riferimento è sulla falsa riga del rapporto semestrale americano sui maggiori partner commerciali, nel quale la Germania per il surplus e la Cina per i cambi erano state prese di mira.

La scomparsa dal comunicato dell’Imfc di ogni riferimento esplicito al protezionismo, a favore di un linguaggio più ‘proattivo’ come viene descritto, non passa inosservata. E durante la conferenza stampa finale le domande sulla famigerata assenza si susseguono. ”L’uso della parola protezionismo è ambiguo. Per questo in differenti sezioni del comunicato abbiamo preferito fare riferimento al ‘contributo di tutti alla crescita degli scambi e al sostegno al commercio internazionale”’ spiega il presidente dell’Ifmc e governatore della Banca Centrale del Messico, Augustin Carstens.

Parole che non sono però sufficienti a stemperare le polemiche. ”Nessuno intende mollare la battaglia contro il protezionismo” assicura il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. L’innalzamento di barriere agli scambi potrebbe avere un impatto negativo sulla lotta alla povertà, avverte il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. ”Per la prima volta nella storia la quota della popolazione che vive sotto la soglia della povertà è calata sotto il 10%. Era il 35% nel 1990. Questi successi potrebbero essere messi a rischio se la liberalizzazione del commercio venisse sospesa” dice Visco al Development Committee, il forum interministeriale di Banca Mondiale e Fmi.