Terrorismo: più di 12mila jihadisti sulla chat Zello

TORINO. – Sono più di 12 mila. E possono “leggere” o “ascoltare”. Le notizie sull’Isis, per esempio, che nei resoconti dell’agenzia Amaaq diventano imprese tessute di eroismo. O i documenti come il dossier con le “Disposizioni sull’omicidio di volontari e servi del Cristianesimo”. Se poi prestano giuramento, dimostrando di aderire all’Islam sunnita e di non essere “spie”, salgono di livello, ottengono “diritto di parola” e diventano “membri del gruppo a pieno titolo”.

E’ un piccolo esercito di internauti ad essere iscritto a “Lo Stato del Califfato islamico”, il canale social di cui il marocchino Mouner El Aoual, arrestato a Torino due giorni fa per terrorismo, era uno dei coordinatori. Lo dicono le indagini svolte negli Stati Uniti dall’Fbi e in Italia dai carabinieri del Ros.

Molti sono semplici spettatori. Ma molti partecipano a quello che nelle carte dell’inchiesta piemontese viene definito “processo di radicalizzazione”. Discutono di dottrina, celebrano i “martiri”, vagheggiano e forse pianificano attentati contro i “miscredenti” da uccidere “come branchi di mucche”.

Che i social network siano utilizzati dagli jihadisti per scambiare informazioni non è un mistero. “Facebook – rilevano le carte dell’inchiesta – è attualmente il veicolo principale di radicalizzazione con riferimento ai foreign fighter per la Siria”. La scoperta del 2016 è l’uso che viene fatto di Zello, un applicativo per messaggi vocali (la sede è ad Austin, nel Texas) che trasforma il proprio smartphone in una specie di walkie-talkie.

“Lo Stato del Califfato islamico” è su questa piattaforma. Una specie di chat, molto difficile da penetrare per gli investigatori, al cui interno è stata realizzata una vera e propria organizzazione di tipo gerarchico con “commissioni”, “rami” (dialogo, informazioni, controllo) e un “gruppo dirigente” di cui El Aoual è uno dei “massimo esponenti”.

Nel febbraio del 2016 il marocchino fu captato dall’Fbi mentre riferiva a un suo contatto (un soggetto indagato negli Stati Uniti) che se l’Isis gli avesse chiesto di compiere un attentato in Italia, sarebbe entrato in azione insieme a “tre uomini” con i quali, grazie al materiale di cui disponeva, poteva raggiungere “la potenza di 15 persone”.

I carabinieri, intanto, lo avevano individuato monitorando l’attività di un utente che si faceva chiamare “Salah Deen”. Nella tranquillità dell’appartamento alla periferia di Torino, dove era ospitato da una famiglia risultata all’oscuro di tutto, il marocchino si metteva al computer e spargeva il verbo.

Che fosse tra i personaggi al vertice del gruppo (le indagini, assai laboriose, si stanno concentrando sugli altri) lo dimostra il fatto che si presentava come “portavoce ufficiale” dello Stato islamico e nessuno lo smentiva. Conversava e istruiva interlocutori sparsi in tutto il mondo, dalla Russia ai campi di battaglia dello Sham. Con tanta autorevolezza da permettersi di rimproverare un siriano che voleva scappare in Canada: “Noi siamo venuti da voi. Rimani nel Paese, costruisci il tuo Paese, resisti”.