Istat: come sarà “Il futuro demografico del Paese”

ROMA. – La popolazione in Italia nei prossimi anni, è destinata a diminuire, soprattutto al sud, mentre continuerà crescere l’età media dei residenti. E’ quanto certifica l’Istat nel report “Il futuro demografico del Paese”. In particolare, la popolazione residente è prevista in lieve decrescita nel prossimo decennio: da 60,7 milioni al primo gennaio 2016 a 60,4 milioni nel 2025. In una prospettiva di medio termine, invece, la diminuzione della popolazione risulterebbe già molto più accentuata: da 60,4 milioni a 58,6 milioni tra il 2025 e il 2045.

E’ nel lungo termine, tuttavia, che le conseguenze della dinamica demografica si fanno più importanti. Tra il 2045 e il 2065, infatti, la popolazione diminuirebbe di ulteriori 4,9 milioni, registrando una riduzione medio annua del 4,4 per mille. In questa ipotesi la popolazione totale ammonterebbe a 53,7 milioni nel 2065, con una perdita complessiva di 7 milioni di residenti rispetto a oggi.

Lo studio evidenzia poi uno spostamento del peso della popolazione dal Mezzogiorno al Centro-nord del Paese: nel 2065 il Centro-nord accoglierebbe il 71% di residenti contro il 66% di oggi; il Mezzogiorno invece arriverebbe ad accoglierne il 29% contro il 34% attuale. La fecondità è prevista in rialzo ma la prospettiva di un pur parziale – da 1,34 figli per donna nel 2016 a 1,59 entro il 2065 – non basterà a determinare un numero di nati che risulti, anno dopo anno, sufficiente a compensare l’aumentato numero di defunti.

Nel breve termine le nascite dovrebbero diminuire fino a 458mila unità annue entro il 2025 mentre parallelamente i decessi tendono a salire fino a 671mila. Nella parte centrale delle previsioni le nascite si stabilizzano intorno al valore medio annuo di 459mila, con un lieve picco di risalita nel 2035-2039 intorno alle 463mila unità, periodo dopo il quale ridiscenderebbero fino a 449mila entro il 2045.

Nel medesimo periodo i decessi, sotto la spinta del progressivo invecchiamento della popolazione, continuerebbero a crescere da 671 nel 2025 a 768mila nel 2045. Nel lungo termine, infine, le nascite continuerebbero a scendere per poi assestarsi attorno a una media di 422mila annue nel 2055-2065. Per i decessi, invece, continuerebbe a registrarsi una costante crescita fino a un massimo di 852mila unità nel 2058. Dopo questo anno, via via che andranno a estinguersi le generazioni del baby boom nazionale, il numero di decessi diminuirebbe fino a 821mila entro il 2065.

Nella futura dinamica demografica del Paese un contributo determinante sarà quello esercitato dalle migrazioni con l’estero. La quota annua di immigrati dall’estero dovrebbe mantenersi a lungo poco sotto il livello delle 300mila unità, per poi gradualmente scendere fino al livello delle 270mila unità annue entro il 2065. Secondo questa ipotesi – spiega Istat – si prevede che nell’intervallo temporale fino al 2065 immigrino complessivamente in Italia 14,4 milioni d’individui. In totale sarebbero invece 6,7 milioni gli emigrati dall’Italia nell’intero arco di proiezione.

L’età media della popolazione passerà dagli attuali 44,7 a oltre 50 anni del 2065. A subire maggiormente le conseguenze dell’invecchiamento della popolazione, dovrebbero essere soprattutto il Sud e le Isole, dove la popolazione passerebbe da un’età media iniziale compresa tra i 43 e i 44 anni, quindi più bassa di quella registrata nel Centro-nord, a una vicina ai 46 anni entro il 2025 e quindi a una superiore ai 50 entro il 2045 fino ad arrivare a 51,6 anni entro il 2065.

Parte del processo di invecchiamento – spiega l’Istituto di statistica – è spiegato dal transito delle coorti del baby boom (1961-75) tra la tarda età attiva (40-64 anni) e l’età senile (65 e più). Il picco di invecchiamento colpirà l’Italia nel 2045-50, quando si riscontrerà una quota di ultrasessantacinquenni vicina al 34%. La sopravvivenza è prevista infine in aumento. Entro il 2065 la vita media crescerebbe fino a 86,1 anni e fino a 90,2 anni, rispettivamente per uomini e donne (80,1 e 84,6 anni nel 2015).

“Le previsioni dell’Istat sentenziano la presenza di un’insopportabile ipoteca sulle possibilità di progresso economico delle aree del Mezzogiorno e dimostrano che la famosa questione meridionale non solo non è stata mai superata ma non è neanche stata affrontata concretamente dai governi centrali”, accusa il senatore Dario Stefano (Misto), Presidente del Movimento La Puglia in Più.

(di Valentina Roncati/ANSA)