Draghi resiste: “Ripresa solida, ma la Bce non cambia rotta”

ROMA. – La ripresa va forte, l’inflazione no. E’ su questo distinguo, sempre più sottile, che si dispiega la resistenza di Mario Draghi dall’offensiva montante per un cambio di direzione alla Bce: la rotta tracciata non si cambia, dice Draghi, e dunque la ‘forward guidance’ con cui Francoforte orienta le aspettative rimane immutata: tassi ai livelli attuali (-0,40%) o inferiori “ben oltre” la fine degli acquisti di debito, che potrebbero persino tornare ad aumentare di ritmo (attualmente sono a 60 miliardi al mese) se fosse necessario.

Tutti gli indicatori dicono che la crescita nell’Eurozona “sta migliorando, le cose vanno meglio”, con la fiducia delle imprese che, certifica l’Istat, in Italia torna ai massimi dal 2007. Persino lo scenario politico europeo va meglio dopo il primo turno francese, anche se Draghi puntualizza “noi discutiamo di politiche, non di politica”.

E dunque – spiega Draghi – se un anno fa la Bce parlava di una ripresa “fragile e mal distribuita”, oggi quella ripresa è “diffusa” e dopo un 2016 che ha segnato un raro sorpasso sugli Usa, è “sempre più solida”. Sembra quasi che Draghi venga incontro alle pressioni della Bundesbank, che da tempo dice che l’obiettivo della Bce è raggiunto, e dunque ‘basta’ ai tassi negativi. Invece per la Bce serve ancora cautela.

L’inflazione è ridiscesa dal 2% di febbraio all’1,5% a marzo, mentre la Bce vuole che i prezzi siano durevolmente vicini al 2% e che lo siano in maniera “autosufficiente”, e “in tutta l’Eurozona non in un solo Paese”: il 2% che la Germania ha raggiunto – è il messaggio implicito – non basta se l’Italia viaggia all’1,4% o la Francia all’1,1%.

Draghi non si sbilancia nemmeno sul futuro: smentisce le indiscrezioni che danno per giugno un cambiamento nel suo linguaggio teso a cambiare la ‘forward guidance’, “non ne abbiamo parlato” – così come l’idea di variare la “successione” delle scelte monetarie: e dunque prima rientrerà il quantitive easing, e solo dopo risaliranno i tassi.

Non c’entra, come ipotizzato da alcuni, il fatto che fra dieci giorni ci sarà il secondo turno alle presidenziali francesi. “Non facciamo politica monetaria sulla base dei probabili esiti elettorali”, dice Draghi. Il fatto è che “i rischi, benché stiano diventando più bilanciati, sono ancora orientati al ribasso, principalmente per fattori globali”.

E quei rischi riguardano l’inflazione, su cui la Bce non può rischiare di sbagliare dando il segnale che ormai ci siamo: una marcia indietro sarebbe dolorosissima per la sua credibilità. E la Bce si aspetta un’inflazione che, dopo un probabile colpo d’acceleratore ad aprile, viaggi sui livelli attuali fino a fine anno, con pressioni sui prezzi ancora basse dato il livello ancora alto di capacità produttiva inutilizzata in larga parte dell’Eurozona nonostante la disoccupazione sia ai minimi dal 2009.

C’entrano qualcosa Brexit e la politica di Trump, con Draghi che candidamente risponde che le nubi sulla politica economica Usa non si sono ancora diradate anche se sembra che l’allarme sul protezionismo stia rientrando. L’unico rischio è che da qui a giugno, prossimo appuntamento rilevante visto che la Bce pubblicherà le sue nuove stime su crescita e inflazione, i governatori ‘falchi’ della Bce, da Weidmann della Bundesbank a Knoot della Banca d’Olanda fino all’austriaco Nowotny alzino il tiro, mettendo ulteriore pressione su Draghi per ravvicinare i tempi della normalizzazione monetaria.

(di Domenico Conti/ANSA)

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