Renzi prepara il ritorno. No di Orlando, ma Emiliano apre

Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ospite a Porta a Porta, 26 aprile 2017 a Roma. ANSA/MASSIMO PERCOSSI
Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ospite a Porta a Porta, 26 aprile 2017 a Roma.
ANSA/MASSIMO PERCOSSI

ROMA. – Fare gioco di squadra. Per arginare “chiacchiericcio e retroscena” e dare il segno tangibile che “l’obiettivo numero uno del Pd che riparte dopo le primarie” è quello di “occuparsi dei problemi reali”. Matteo Renzi prepara il ritorno al Nazareno, che avverrà formalmente solo dopo l’assemblea nazionale di domenica. E prova a ripartire da una gestione più collegiale e inclusiva, anche nella composizione degli organi che governano il partito.

Ma se gli uomini vicini a Michele Emiliano danno una disponibilità di massima, Andrea Orlando e i suoi, che nel partito intendono dare “battaglia”, dicono fin d’ora di no a un eventuale ingresso nella segreteria. Il leader Dem tiene intanto aperto un canale di dialogo con Giuliano Pisapia.

Il silenzio dei renziani dopo il no dell’ex sindaco di Milano all’ingresso in un “listone” Pd, viene infatti interrotto in serata da Debora Serracchiani che vede Pisapia a Trieste e distilla parole di miele: “E’ capace di unire la sinistra, dal dialogo con Campo Progressista può nascere una proposta di governo”, scrive la governatrice. I renziani sono irritati perché reputano l’uscita di Pisapia prematura e intempestiva. Ma non chiudono all’ex sindaco, in attesa di capire quale sarà lo “schema di gioco” dettato dalla legge elettorale.

E intanto affermano che chi pone veti a sinistra sono Bersani e D’Alema, non il segretario. “Nessun veto – replica Roberto Speranza – ma Renzi è divisivo, serve una leadership diversa per l’unità a sinistra”. Bersani e D’Alema? “Lavoriamo senza preoccuparci degli altri”, replica Renzi.

Nel Pd, intanto, si attendono ancora i dati definitivi sul risultato delle primarie. Il leader avrà questa volta dalla sua una maggioranza schiacciante in assemblea e direzione ma, affermano i suoi, vuol fare “squadra” per gestire le difficili partite che si apriranno da qui al voto senza dare sempre l’immagine di un partito diviso.

Gli equilibri sono già definiti, osservano i renziani, dal risultato del voto tra gli iscritti, “incontestabili”: 66,7% Renzi, 25,26% Orlando, 8% Emiliano. “Io ho votato Orlando ma c’è stata una chiara vittoria di Renzi, che è più forte di prima”, riconosce Enrico Letta. E anche Orlando parla di un “risultato chiaro”.

Ma la polemica prosegue, perché gli orlandiani in alcune Regioni non firmano i verbali. E scoppia il “caso di Ercolano”, dove la procura apre un fascicolo sull’intervista di Fanpage.it a un immigrato che racconta di essere stato portato a votare alle primarie con la speranza di un permesso di soggiorno.

“Se fosse vero, sarebbe peggio delle scarpe di Lauro, oltre il limite etico: non posso stare in un partito così”, afferma Orlando. Ma il sindaco Ciro Buonajuto parla di un caso “montato ad arte”. Renzi prova ad andare oltre le polemiche: “Non limitiamoci a mugugnare, mettiamoci in gioco”, afferma riaprendo le iscrizioni alla scuola di formazione politica del Pd intitolata a Pasolini.

Ma ancora Orlando lo incalza: “C’è disaffezione dei giovani. La scissione non è nel mio Dna, ma con un quinto del partito darò battaglia”. Gli ‘orlandiani’ escludono dunque, al contrario degli uomini vicini a Emiliano, di entrare nella segreteria di Renzi.

La squadra starebbe prendendo forma (tra i nomi: Andrea Rossi, Tommaso Nannicini, Matteo Richetti, Teresa Bellanova, accanto a Maurizio Martina), ma prima c’è da definire il nodo della presidenza del partito. Il tentativo sarebbe costruire un voto unitario per la riconferma di Matteo Orfini, ma i renziani non escludono che una proposta possa essere fatta pervenire a un ‘orlandiano’ dal profilo super partes come Nicola Zingaretti.

(di Serenella Mattera/ANSA)

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