Tagli Opec non bastano, il petrolio scivola sotto 45 dollari

Operaio camminando sopra dei barili di petrolio accatastati
Tonfo petrolio a -7,3%

ROMA. – E’ durato pochi mesi l’effetto del taglio della produzione di petrolio avviato con lo storico accordo tra i Paesi Opec e non Opec di novembre scorso: il greggio, dopo una discesa inesorabile dal picco degli oltre 55 dollari raggiunto a gennaio, è ripiombato sotto la soglia dei 45 dollari al barile, toccando i minimi del novembre 2016.

Quella che doveva essere la soluzione per i Paesi produttori, alle prese con un preoccupante crollo dei prezzi perdurante da anni e che stava azzoppando molte economie, si è rivelata una sorta di boomerang: a pesare, infatti, sono proprio i rialzi scattati dopo l’accordo di novembre, che hanno sostanzialmente rimesso in gioco lo shale oil americano, la cui estrazione è più costosa ed è quindi sostenibile solo con prezzi più elevati.

Basti pensare che si sono registrate undici settimane di fila di espansione della produzione Usa, che secondo stime dell’agenzia Bloomberg è la corsa più lunga di aumenti dal 2012, e che la scorsa settimana, per dare un ordine di grandezza, i produttori americani hanno pompato 9,29 milioni di barili, il livello più alto da agosto 2015.

“C’è molto disappunto per il fatto che i tagli alla produzione decisi dall’Opec e dagli altri Paesi non abbiano avuto un impatto sui livelli globali delle scorte”, ha commentato un analista di Cmc Markets, aggiungendo che “il mercato sembra essere molto lontano dall’aver raggiunto la situazione di equilibrio che alcuni avevano previsto”.

L’attesa adesso è per il 25 maggio, quando è in programma il vertice Opec di primavera, chiamato a decidere in merito a un’estensione dell’accordo di novembre per la seconda parte dell’anno. Ma i margini di manovra del Cartello appaiono abbastanza limitati: non estendere l’accordo di novembre per altri sei mesi, secondo molti analisti, potrebbe infatti essere ancora più pericoloso e far precipitare di nuovo il greggio sotto i 40 dollari.

Allo stesso tempo c’è il timore che qualche membro non sia molto convinto di andare avanti e che anche la Russia possa decidere in senso opposto. Sul tema è intervenuto il ministro dell’Energia kazako Kanat Bozumbayev, avvertendo della necessità di un’estensione dei tagli, anche considerando che per il Paese sarà difficile mantenere i livelli attuali, visto il forte aumento della produzione del giacimento di Kashagan.

(di Francesca Paggio&ANSA)

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