Esportare la “Dolce vita” può valere +18 miliardi al 2022

MILANO. – Esportare il bel vivere potrebbe portare tra cinque anni nelle casse delle imprese italiane 12 miliardi in più, facendo ipotesi prudenti, oltre 18 negli scenari più ambiziosi. A tirare le somme sulle potenzialità dell’export del top del Made in Italy è il centro studi di Confindustria con Prometeia nel rapporto ‘Esportare la dolce vita, il potenziale del bello e ben fatto italiano nei mercati avanzati’.

Nello scenario base del rapporto si ipotizza che nel 2022 trentuno paesi avanzati importeranno dall’Italia 70 miliardi di euro di prodotti ‘Belli e ben fatti’ (+20% rispetto al 2016). Ma è uno scenario “prudente”, perché stima quote di mercato dell’Italia invariate. Quello più ambizioso invece ipotizza che l’alta gamma italiana le aumenti, guadagnando altri 6,9 miliardi (+31%). Un aumento calcolato applicando ad ogni settore lo stesso guadagno di quota registrato nei primi 7 mercati dal Paese che ha avuto la migliore performance nel 2011-2015.

Per la vicepresidente di Confindustria per l’internazionalizzazione, Licia Mattioli, le due strade per aumentare la competitività di settori come agroalimentare, moda, gioielli, nautica e design è “investire nella manifattura ad alto valore aggiunto e aumentare il numero degli esportatori”. L’altra è la digitalizzazione.

Infine una delle leve da sfruttare è la sinergia tra alta gamma e turismo internazionale. Dai mercati avanzati arriva la maggior parte di visitatori: Germania, Francia e Usa in vetta. Sono clienti, ma soprattutto ambasciatori del Made in Italy quando rientrano in patria. Gli americani in particolare generano il più alto valore di acquisti: 4,3 miliardi nel 2015, in media 1.166 euro a testa. Non a caso gli Usa con 13 miliardi di importazioni stimate al 2022, restano il primo mercato per i prodotti ‘Belli e ben fatti’.

Ma sugli Usa incombe il rischio del neo protezionismo invocato da Trump. Per la ricerca se la struttura delle tariffe doganali Usa tornasse alle condizioni pre anni ’90, il costo per i prodotti d’alta gamma italiani sarebbe di 1,4 miliardi. Un po’ meno (-1,2 miliardi) ipotizzando ritorsioni dagli altri Paesi contro gli Usa, grazie a cui i prodotti italiani potrebbero guadagnare nuove quote di mercato.

Tra i settori più penalizzati alimentare (-500 milioni), occhialeria (-300 milioni), calzature (-200 milioni) e arredo (-120 milioni). Ma lo scenario di un neo protezionismo americano non è giudicato credibile dal Ceo di Bulgari, Jean Christophe Babin, presente all’illustrazione del rapporto.

“I grandi marchi americani avrebbero anche loro dei danni, sarebbe una situazione ‘lost/lost'”. “Ero rimasto come l’ultimo giapponese in Europa a difendere il Ttip e ne sono molto fiero – ha detto alla platea il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda -. Nei prossimi anni, quando prevarrà magari un’altra linea nella amministrazione americana, vedrete quanti rimpiangeranno quella opportunità che abbiamo perso”.

(di Giorgia Bentivogli/ANSA)

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