L’Fbi smentisce Trump: “Comey aveva la nostra fiducia”

FBI Director James Comey (L) and National Security Agency Director Mike Rogers (R) EPA/SHAWN THEW
FBI Director James Comey (L) and National Security Agency Director Mike Rogers (R)
EPA/SHAWN THEW

NEW YORK. – Voci di corridoio alla Casa Bianca raccontano come Donald Trump in privato si sia parzialmente pentito di non aver seguito chi nella West Wing predicava prudenza e suggeriva di aspettare prima di far fuori il capo dell’Fbi. Ma come tante altre volte il tycoon avrebbe agito d’istinto, e lo ha fatto pur sapendo di rischiare un terremoto.

E terremoto è stato, con la vicenda del Russiagate che rischia ora di intricarsi, anche in vista del mandato di comparizione con cui il Senato ha deciso di obbligare il poco collaborativo Michael Flynn (ex consigliere per la sicurezza nazionale) ad andare in Congresso e a portare una serie di documenti relativi a suoi contatti con funzionari russi. E se i democratici evocano sempre più lo spettro dell’impeachment, a Capitol Hill sono tante le voci critiche anche sul fronte repubblicano.

Intanto l’Fbi difende a spada tratta James Comey: “Non ha mai perso la nostra fiducia”, ha assicurato davanti alla commissione intelligence del Senato Andrew McCabe, che guida il bureau investigativo in attesa della nomina del nuovo direttore. Contraddicendo di fatto la versione della Casa Bianca, secondo cui l’ex capo dei federali non aveva più il necessario sostegno da parte dei suoi collaboratori.

Ma l’affondo di McCabe è andato oltre, criticando la linea del presidente americano tesa a sminuire l’importanza delle indagini sul Russiagate: “Sono una priorità assoluta e di estrema importanza”. Dunque si va avanti, per saperne di più sulle interferenze russe in Usa e sui possibili legami di alcuni collaboratori del tycoon con Mosca.

E l’Fbi, ha assicurato McCabe, “ha la risorse necessarie” per farlo, nonostante il New York Times abbia raccontato della recente richiesta alla Casa Bianca di più soldi e uomini. Poi l’ultimo avvertimento: “Finora non c’è stata alcuna interferenza politica nelle indagini. Ma se ci dovesse essere la denunceremo al Congresso”.

Parole che potrebbero accelerare la decisione di Trump sulla nomina del nuovo direttore del bureau. Decisione che potrebbe essere annunciata prestissimo, con il presidente americano che sta valutando di recarsi nelle prossime ore nel quartier generale dell’Fbi. Al vaglio un’ampia rosa di nomi, che vanno dall’ex ‘sindaco poliziotto’ di New York Rudolph Giuliani all’ex senatore Mike Rogers. Passando anche per l’ipotesi di una donna, Kelly Ayotte, ex governatrice e procuratrice generale del New Hampshire.

Intanto Trump si è assunto tutte le responsabilità del caso Fbi: “Il licenziamento di Comey l’ho deciso io, senza seguire alcun consiglio”. In un primo momento come ‘capro espiatorio’ era stato individuato il vice ministro della Giustizia Rod Rosenstein: “Il presidente ha semplicemente seguito le sue raccomandazioni”, aveva detto la Casa Bianca. Tanto che Rosenstein aveva minacciato le dimissioni.

Ma la confusione attorno a quanto accaduto negli ultimi giorni è tanta. E il prossimo a farne le spese potrebbe essere il portavoce Sean Spicer, che Trump non riterrebbe abbastanza efficace nel difenderlo. Per questo starebbe valutando di sostituirlo con l’attuale numero due, Sarah Huckabee Sanders.

Nel frattempo il tycoon si avvia a varare una commissione di inchiesta sulle frodi elettorali: nel mirino i 3 milioni di voti popolari presi da Hillary Clinton, secondo Trump in gran parte illegali. Un tentativo disperato – per molti – di distogliere l’attenzione dal terremoto del Russiagate.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)

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