Mafia: i fondi neri viaggiavano da Milano a Catania

Un fermo immagine tratto da un video diffuso al termine di un'operazione interforze della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza contro le attività criminali della famiglia mafiosa catanese dei Laudani, coordinata dalla Dda di Milano. 15 maggio 2017. ANSA/ US POLIZIA DI STATO
Un fermo immagine tratto da un video diffuso al termine di un’operazione interforze della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza contro le attività criminali della famiglia mafiosa catanese dei Laudani, coordinata dalla Dda di Milano. 15 maggio 2017. ANSA/ US POLIZIA DI STATO

MILANO. – Viaggiava sull’asse Milano-Catania la “provvista occulta” creata, attraverso un “complesso sistema” di false fatture, dalle società del consorzio Sigilog (prima Sigi Facilities) amministrato da alcuni esponenti della presunta associazione per delinquere legata al clan mafioso dei Laudani e smantellata con 14 arresti, un divieto di dimora e due fermi. E il “fine ultimo” di quei soldi, che dal capoluogo lombardo arrivavano in Sicilia, era quello di sostenere i detenuti della cosca e i loro familiari.

Il passaggio da nord a sud dei fondi illeciti è ricostruito negli atti dell’inchiesta del procuratore aggiunto Ilda Boccassini e del pm Paolo Storari che, date le presunte infiltrazioni mafiose in una serie di appalti, ha portato al commissariamento di quattro direzioni generali della Lidl e alla richiesta di amministrazione giudiziaria per Securpolice che si occupa di vigilanza anche nel Palazzo di Giustizia milanese.

Nell’ordinanza del gip Giulio Fanales, tra l’altro, viene messo in luce che – oltre al sostentamento dei carcerati e delle loro famiglie, chiamate anche a firmare una “ricevuta” dal “cassiere” del clan, Enrico Borzì, che teneva un “apposito registro” con entrate e uscite – sarebbero stati altri due “i canali di utilizzo” dei fondi neri: i pagamenti “funzionali” a corrompere dirigenti Lidl per ottenere commesse e “i versamenti volti alla corruzione di pubblici ufficiali”.

Il gruppo, poi, che aveva come punto di riferimento Salvatore Orazio Di Mauro, “esponente di spicco” del clan Laudani arrestato nel febbraio 2016, avrebbe acquisito le commesse con due modalità diverse “tra sud e nord: mentre in Sicilia gli appalti vengono ottenuti tramite l’interessamento remunerato delle organizzazioni mafiose, al nord i pagamenti sono effettuati direttamente a favore di figure dirigenziali della stessa Lidl”.

Due imprenditori arrestati, Emanuele Micelotta e Giacomo Politi, nelle intercettazioni parlavano anche di “regalie da elargire per le festività natalizie ai vari dirigenti”. E nel giro di due giorni, ad esempio, tra il 13 e il 14 dicembre scorso, la presunta associazione sarebbe stata in grado, come emerge dal decreto di commissariamento (giudici Roia-Tallarida-Pontani) da un lato di pagare mazzette in Piemonte ad un dipendente Lidl e dall’altro di portare soldi alla cosca in Sicilia.

Sempre dagli atti, poi, emerge come due degli arrestati, Orazio Elia e Domenico Palmieri, avrebbero sfruttato dietro compenso “le proprie relazioni con esponenti del comune di Milano, di sindaci e assessori” locali al fine “di ottenere commesse e appalti da proporre ai propri clienti”.

A un consigliere comunale di Cinisello Balsamo, inoltre, sarebbero state proposte “somme di denaro” e “voti” come “prezzo della mediazione illecita” verso un assessore per “modificare i vincoli urbanistici esistenti su una villa di rilevanza storica” e “costruire su quest’area campi da tennis” e un “parco giochi”.

A disposizione del clan, infine, anche una rete di “informatori” e tra loro una persona che avrebbe rivelato ad Alessandro Fazio, anche lui finito in carcere, dettagli dell’inchiesta “visionando direttamente il fascicolo” sul tavolo di Boccassini.

(di Igor Greganti e Francesca Brunati/ANSA)