Su Trump lo spettro dell’impeachment, Putin lo difende

FOTO EPA/EUGENE GARCIA
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NEW YORK. – “Fight, fight, fight”, ‘combattere, combattere, combattere’. Donald Trump è scurissimo in volto mentre partecipa alla cerimonia per la consegna dei diplomi all’Accademia della Guarda Costiera di New London, in Connecticut. Ma quando sale sul palco si mostra più determinato che mai, scagliandosi ancora una volta contro quelli che chiama “i media di Washington”: “Nessun politico nella storia è stato trattato peggio e più ingiustamente di me. Ma nella vita non bisogna mai mollare. E io – è il suo monito – non mollerò mai”.

Da quando il tycoon è stato eletto 45esimo presidente degli Stati Uniti, però, mai lo spettro dell’impeachment è volato così basso e minaccioso sulla Casa Bianca. La vicenda della rimozione del capo dell’Fbi James Comey, che avrebbe rifiutato di porre fine alle indagini sul Russiagate, e la rivelazione di informazioni segrete sulla lotta all’Isis passate al ministro russo Sergei Lavrov nello Studio Ovale hanno aggravato una crisi che oramai va avanti da settimane.

Al punto tale che parlare di messa in stato di accusa del presidente o di un suo allontanamento per incapacità di governare non è più considerata fantapolitica. Con i mercati che, a partire da Wall Street, reagiscono male a una situazione di incertezza sempre più grande. Se l’ipotesi di un vero e proprio impeachment (la messa in stato di accusa per alto tradimento o altri gravi crimini) appare al momento la più difficile vista la maggioranza repubblicana in Congresso, nelle ultime ore sta prendendo quota un altro scenario: quello previsto nel 25esimo emendamento della Costituzione, secondo cui il vicepresidente e la maggioranza dei membri del governo dichiarano il presidente non in grado di assolvere ai poteri e doveri relativi al suo incarico.

A quel punto il Congresso dovrebbe votarne la rimozione, e il suo posto verrebbe automaticamente preso dal vice Mike Pence. Il tutto alla vigilia del primo delicatissimo viaggio all’estero del presidente, che da sabato 20 maggio toccherà paesi alleati come Arabia Saudita e Israele. Poi l’incontro con Papa Francesco in Vaticano, il vertice Nato a Bruxelles e il G7 di Taormina il 26 e 27 maggio.

Otto giorni lontano dagli Usa (in cui alla Casa Bianca resterà proprio Pence) per tentare di rilanciare la sua immagine, ma in cui sarà più difficile tenere sotto controllo quello che accade. Non tanto nell’arena della West Wing, dove oramai è un tutti contro tutti: forse proprio per questo il presidente, in maniera inusuale, porterà con sé l’intero staff dei suoi più stretti collaboratori.

A preoccupare di più il tycoon è il Congresso, dove anche i repubblicani appaiono sempre più inquieti. E dove le commissioni intelligence di Camera e Senato hanno chiesto all’Fbi di consegnare tutti i memo preparati dall’ex direttore James Comey sulle comunicazioni avute con la Casa Bianca o con il Dipartimento di giustizia. A Comey è stato anche chiesto di tornare a testimoniare, per saperne di più sulle presunte pressioni di Trump per porre fine alle indagini sul Russiagate.

Intanto da Sochi Vladimir Putin difende il presidente Usa: parlando di “schizofrenia politica” contro Trump, definendo “una bufala” la notizia di informazioni segrete date da Trump ai russi e dicendosi disposto a pubblicare i contenuti del colloquio avvenuto nello Studio Ovale fra il tycoon e il suo ministro degli Esteri Sergei Lavrov.

All’inizio Putin ha parlato di “registrazione”: poi il Cremlino ha precisato che si tratta dei verbali dell’incontro. Un’offerta che comunque ha generato lo sdegno di molti membri del Congresso.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)