Rendimenti celestiali, i fondi della Chiesa Anglicana al 17%

LONDRA. – Sono rendimenti benedetti, almeno per chi ha potuto beneficiarne, quelli garantiti nel 2016 dal fondo d’investimento legato alla Chiesa Anglicana, simbolo nazionale secolare del cristianesimo britannico al cui vertice troneggia la regina. Rendimenti addirittura “paradisiaci”, stando al titolo un po’ irriverente del Financial Times: da “top performer” del mercato nell’ultimo anno.

I numeri squadernati dal giornale della City parlano da soli: nel 2016 lo strumento finanziario in questione ha garantito ai sottoscrittori un interesse record del 17,1%, oltre il doppio rispetto all’8,2% del 2015.

Andrew Brown, segretario e chief executive del Church Commissioners, l’organismo che amministra gli investimenti della Chiesa d’Inghilterra, se ne è detto entusiasta presentando il rapporto annuale. E – alzando a sua volta gli occhi al cielo – ha parlato di “risultati stellari”.

Il successo ha tuttavia anche radici terrene. E’ stato favorito dal ribasso della sterlina seguito al referendum pro Brexit e alle incertezze che ne stanno derivando, ha ammesso Brown. Ma a renderlo possibile, ha puntualizzato, non sono mancati investimenti indovinati nell’azionario e nel private equity.

Nel complesso il fondo ha contribuito alle casse della Chiesa di Sua Maestà per oltre 230 milioni di sterline: non più del 15% del totale, ha tenuto a sottolineare Brown precisando come gran parte del resto arrivi da donazioni e dalla “straordinaria generosità dei fedeli”. Ma non senza rivendicare di aver fatto anche sul fronte del business “la nostra parte”.

L’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, massimo dignitario ecclesiastico anglicano, gli ha fatto eco riconoscendo ad un tempo al vertice del Church Commissioners “efficienza gestionale” e attenzione a una politica di “investimento etico e responsabile”. Il riferimento non è casuale tenuto conto che gli interessi record qualche interrogativo rischiano di porlo. Tanto più che in passato le polemiche non sono mancate.

Fu proprio Welby a scagliarsi tempo addietro contro Wonga, una società specializzata in spericolati prestiti speculativi concessi come anticipo sullo stipendio, salvo scoprire che nel 2013 lo stesso fondo ecclesiastico vi aveva investito. In seguito la Chiesa si è impegnata a una revisione della gestione dei sui asset, escludendo ad esempio ogni ‘collusione’ con l’industria degli idrocarburi, in nome della difesa del pianeta dall’inquinamento e dai cambiamenti climatici.

Mentre un comitato ad hoc ha poi fissato una singolare tabella con paletti tanto precisi quanto opinabili volti ad assicurare che i ‘sacri investimenti’ non siano “incompatibili con i valori della morale cristiana”: paletti che indicano ora off limits tutte le aziende che ricavino oltre il 3% del fatturato dalla pornografia; oltre il 10% dal settore bellico-militare; e oltre il 25% dal gioco d’azzardo, dai prestiti ad alto tasso o dagli alcolici.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)

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