A Manchester la stessa bomba di Parigi: “E’ la firma dell’Isis”

Il luogo dell'attentato: Manchester Arena . EPA/NIGEL RODDIS
Il luogo dell’attentato: Manchester Arena . EPA/NIGEL RODDIS

MANCHESTER. – Un ordigno che equivale a una firma. Si stringe il cerchio, pur non senza zone d’ombra da chiarire, sui misteri dell’attentato suicida che lunedì ha insanguinato Manchester uccidendo almeno 22 persone e ferendone decine all’uscita dal concerto di Ariana Grande. L’esplosivo usato da Salman Abedi, 22 anni, il kamikaze figlio di ex rifugiati politici libici, sarebbe stato il famigerato Tapt: la cosiddetta bomba all’acetone, divenuta in questi anni una sorta di simbolo di morte di adepti e simpatizzanti dell’Isis in giro per l’Europa, da Parigi a Bruxelles.

La rivelazione arriva ancora una volta dagli Usa, nell’ennesimo leak ‘sfuggito’ all’intelligence di Washington in barba alla collera di Londra. E si tratta della conferma di una pista investigativa che prende corpo – le autorità britanniche parlano di “arresti significativi” – nell’ambito della caccia al “network” organizzato che si ritiene abbia assistito Abedi nella sua missione assassina.

Le persone finite in carcere nel Regno Unito sono salite ormai a una decina e i blitz, a Manchester e dintorni, si moltiplicano. Anche nelle ore in cui la regina è arrivata in città per visitare nell’ospedale pediatrico alcuni dei feriti bambini di questa strage di giovanissimi, almeno cinque dei quali restano nella lista dei 23 appesi a un filo.

Il capo della Greater Manchester Police, Ian Hopkins ha evocato un salto di qualità nei fermi e il sequestro di “materiale importante”. Mentre la caccia all’ipotetico artificiere della cellula pare rientrare, visto che si fa ora largo l’ipotesi, inizialmente scartata, che l’attentatore possa essere stato in grado di assemblarsi da solo la bomba, seppure con l’aiuto a distanza di un qualche specialista.

Il pericolo comunque è tutt’altro che passato. In uno degli appartamenti perquisiti sono stati trovati componenti per il confezionamento di altri ordigni. E la premier Theresa May, prima di partire per il vertice Nato di Bruxelles e per il G7 di Taormina, ha precisato che per il momento l’allerta nazionale resta al livello “critico”, il più elevato, segnata dalla presenza di centinaia di militari, oltre che di agenti armati, a Londra come in altre città e persino sui treni del regno.

Mentre ha annunciato anche una sorta di ‘resa dei conti’ con Donald Trump sui leak di informazioni condivise con gli 007 americani: leak che hanno irritato i britannici fino a far annunciare alla polizia la sospensione della cooperazione d’intelligence con gli Usa e a costringere il presidente – vittima a sua volta di tante fughe di notizie in patria – a promettere di farle cessare.

La pista libica, frattanto, rimane la più battuta fra i possibili retroterra dell’attacco. Salman Abedi ha trascorso di recente un periodo nel Paese nordafricano, dove da tempo è rientrato il grosso della sua famiglia, come ha confermato all’Ansa, Mohamed Fadil, portavoce della comunità libica a Manchester. E lì, più che in Gran Bretagna, potrebbe essersi radicalizzato e avvicinato logisticamente all’Isis, ipotizza Fadil, tentando invece di scagionare il padre del giovane: Ramadan Abedi: vecchio dissidente dell’opposizione islamica anti Gheddafi fermato peraltro ieri a Tripoli con un altro figlio.

Il groviglio in ogni modo va ancora districato. Tracce di Salman sono state segnalate da Dusseldorf a Istanbul, prima del suo fatale ritorno dalla Libia a Manchester. Senza contare un presunto ‘depistaggio’ ai familiari, ai quali pare che il giovane avesse preannunciato – prima di chiedere “perdono” alla madre in un’ultima telefonata – un finto pellegrinaggio in Arabia Saudita.

Né mancano polemiche sugli stessi servizi di Sua Maestà, in particolare l’MI5, che in passato avevano messo gli occhi su Abedi junior. Salvo perdere poi – accusa il Daily Telegraph – almeno “cinque occasioni” di fermarlo per tempo.

Manchester, intanto, cerca di guardare avanti. E l’immagine più bella di giornata resta forse quella del minuto di silenzio a St.Ann’s Square, al termine del quale una donna ha intonato ‘Don’t Look Back in Anger’ degli Oasis, glorie locali. Finché la piazza si è unita in coro, come una sola voce di speranza.

(dell’inviato Alessandro Logroscino/ANSA)

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