Draghi: “Qe serve ancora. Sostegno a banche post Brexit”

BRUXELLES. – La ripresa nell’Eurozona è sempre più forte, le differenze tra i Paesi si vanno attenuando così come i rischi al ribasso. Ma è ancora troppo presto per chiudere il rubinetto del Qe, perché l’inflazione non è nemmeno vicina al target. Il presidente della Bce Mario Draghi, in audizione davanti alla commissione economica del Parlamento europeo, assicura che il “sostegno straordinario” della Banca centrale proseguirà ancora per un po’.

Ma gli Stati, soprattutto quelli ad alto debito e bassa crescita (come l’Italia), devono fare di tutto per rafforzare la propria ripresa, perché, quando i tassi ricominceranno a salire, pagheranno un conto salato sugli interessi. Francoforte è anche pronta alla Brexit: garantirà il sostegno alle banche che dovranno trasferire le proprie attività nella zona euro.

“Rimaniamo fermamente convinti che una quantità straordinaria di supporto alla politica monetaria è ancora necessaria per riassorbire l’attuale livello di risorse non utilizzate e perché l’inflazione rientri e si stabilizzi in modo duraturo intorno al 2% nel medio termine”, ha detto il presidente nel suo intervento. Il quadro, comunque, sta certamente migliorando.

“La ripresa sta diventando sempre più solida e continua ad ampliarsi”, la “disoccupazione è scesa al livello più basso dal 2009”, la fiducia di consumatori e imprese è salita. Ma “le pressioni sull’inflazione” e quelle domestiche dagli stipendi, sono ancora “insufficienti a sostenere una duratura convergenza sull’inflazione verso l’obiettivo di medio termine” e quindi “abbiamo ancora bisogno di condizioni del credito molto accomodanti”.

Detto in altre parole, nonostante i “primi segnali di una ripresa dell’inflazione”, è ancora “molto, molto presto per farci pensare di cambiare posizione sulla politica monetaria”. La Bce continuerà quindi a fare la sua parte, anche perché le misure stanno funzionando. “Sostenendo i redditi nominali, le nostre misure di politica monetaria stimolano gli investimenti e i consumi, che sono precondizioni perché l’inflazione torni sotto, ma vicino, al 2%”. Poi “una economia più dinamica, nel tempo, favorirà un sano ritorno a tassi di interesse più alti”, ha aggiunto. Però anche gli Stati membri devono fare la loro parte.

“Le prospettive economiche della zona euro stanno migliorando e i rischi al ribasso sono moderati, ma questi segni positivi non devono distrarre dalla necessità di un crescita economica strutturale più ferma e ed elevata”, ha detto Draghi. Ciò che serve è “una maggiore produttività”, che a sua volta ha bisogno di innovazione, per questo le riforme strutturali “sono essenziali”. Riforme fondamentali soprattutto per quei Paesi, come l’Italia, altamente indebitati e con una ripresa che fatica a decollare.

“E’ chiaro che mentre l’inflazione converge verso il nostro obiettivo, e la convergenza diventa autosufficiente, i Paesi con alto debito e poca crescita affronteranno un conto degli interessi più alto. Servono quindi politiche di bilancio ma soprattutto politiche che aumentino la crescita”, è la ricetta del numero uno della Banca centrale.

Per quanto riguarda la possibilità di voto anticipato in Italia, interrogato da un eurodeputato italiano, non commenta: “Ci sono elezioni dappertutto, difficile dare un giudizio, certamente non sono io quello che può dare un giudizio migliore sulla data delle elezioni”.

Insistendo sulle riforme, Draghi ricorda poi che bisogna agire sia a livello nazionale, sia europeo. Nel senso che l’Unione monetaria va completata, perché è vero che ha resistito alla crisi ma è andata molto vicino ad una situazione “critica”. E parte della sua “fragilità” dipende dal fatto che “non è completa”. Per questo bisogna andare avanti, senza “avere paura di cambiare i Trattati, se necessario”.

(di Chiara De Felice/ANSA)

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