Detenuto pesa 230 kg: “In cella sono condannato a morte”

ROMA. – Ha 45 anni, è gravemente obeso, pesa 230 chili, con gravi patologie che lo rendono invalido al 100%, vive su un’enorme sedia a rotelle ma non può mai lasciare la sua cella perchè la sua mole ostacola ogni spostamento. E’ il caso di un detenuto prima recluso a Rebibbia ed ora trasferito a Regina Coeli. A Natale scorso quando, a Rebibbia, ha incontrato il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute e private della libertà personale, Mauro Palma, gli ha detto: “Sono un condannato a morte”.

L’uomo, infatti vive l’angoscia di vedersi sempre più enorme a causa della sua “inattività forzata” ed è spesso in preda a crisi di panico per il timore di non poter ricevere le dovute cure salvavita in caso di emergenza. Il detenuto, ha scritto nella sua relazione il Garante, Mauro Palma “sta scontando la pena in una situazione detentiva di coercizione strutturale e psicologica”.

Dopo la segnalazione del Garante l’uomo è stato trasferito nel carcere di Regina Coeli dove la sua situazione, definita anche dal Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria “incompatibile con lo stato di detenzione”, non è migliorata.

“A Regina Coeli – racconta il Garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia che ha segnalato il caso al Garante nazionale – è ospitato nel centro clinico del carcere, in una stanza molto grande. Il problema che resta è che la sedia a rotelle su cui vive non passa per la porta del bagno. L’uomo deve dunque essere accudito in tutto”.

“Anche questa struttura quindi – aggiunge Anastasia – non lo garantisce da rischi per la sua salute”. Per Palma, la criticità che lo riguarda non è connessa all’istituto penitenziario che lo ospita, “ma all’impossibilità in sè di tenere in carcere una persona con tali caratteristiche fisiche e ponderali, sia per le difficoltà di movimento che per la necessità di accudimento, oltre che per possibili emergenze che tale situazione può determinare”.

La situazione del detenuto, dunque, secondo il Garante non muta con il trasferimento ad altro istituto e, conseguentemente, per lui “è opportunamente da valutare la possibilità di sospensione dell’esecuzione penale”.

Non è quello del detenuto di Regina Coeli il primo caso del genere. Aristide Angelillo, 53 anni, napoletano, entrato in carcere quando pesava 190 chili era arrivato a pesarne 310 quando ottenne la detenzione domiciliare. Nel 2011, per un cavillo burocratico rischiava di tornare in cella. Allora per protesta e per far conoscere la sua tragica condizione scelse di pubblicare le foto del suo corpo nudo sul suo blog.

Del caso di Angelillo si è occupato Patrizio Gonnella presidente dell’associazione Antigone che si batte per i diritti in carcere. ”Angelillo aveva passato in carcere molti anni in condizioni disumane, costretto a dormire seduto, altrimenti sarebbe morto soffocato – racconta Gonnella – e a fare i bisogni sul pavimento perche il bagno della cella era troppo piccolo”.

“Quello di Angelillo, così come quello del detenuto obeso e invalido al 100% recluso a Regina Coeli, sono stati di salute assolutamente incompatibile con la detenzione e che creano problemi insostenibili all’interno del carcere”. “Per casi come questi – aggiunge Gonnella – è necessario trovare, nel rispetto della sicurezza, una struttura che li accolga o permetta loro di scontare la pena a casa, consentendogli così di condurre almeno una vita dignitosa”.

(di Anna Lisa Antonucci/ANSA)

Lascia un commento