Stop a lavoro illegale in agricoltura, servono norme Ue

BRUXELLES. – L’Ue si doti di regole condivise per combattere la piaga dello sfruttamento del lavoro in agricoltura. E’ l’appello rivolto all’Europarlamento dalla presidente del Milan Center for Food Law and Policy Livia Pomodoro. Insieme a Coop, infatti, hanno lanciato l’iniziativa ‘Be Aware’, con l’obiettivo di promuovere un quadro legislativo Ue e favorire lo scambio di buone prassi contro il lavoro illegale nelle campagne. Perché il fenomeno va al di là del caporalato, e ha dimensione europea.

Secondo i dati del rapporto ‘Best Practices against Work Exploitation in Agriculture’, il lavoro illegale è diffuso soprattutto nei paesi del Sud e dell’Est Europa. In Romania e Portogallo, le stime parlano rispettivamente del 40 e del 60% di irregolari sul totale dei lavoratori in agricoltura. In Polonia il dato è superiore al 25%, in Italia oltre il 30%. A fronte di una media europea del 25%, Germania e Austria sono invece sotto il 10%.

Per questo affrontare il tema a livello non solo nazionale (come ha fatto l’Italia nel 2016 con una legge per la repressione del caporalato) ma anche europeo è necessario per riaffermare “i valori di base che hanno fatto nascere l’Ue”, ha sottolineato il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani. Il tema dei diritti si intreccia con quelli economici, se si considera la concorrenza sleale perpetrata dalle imprese che sfruttano la manodopera nei confronti di quelle virtuose.

“Nell’Europa dove il lavoro si muove – ha ricordato l’eurodeputata Pd della commissione industria Patrizia Toia – è necessario contrastare fenomeni indegni di una società civile”. A rendere difficile un approccio Ue al problema c’è la frammentazione delle esperienze nazionali. E il fatto che la politica agricola è di competenza esclusiva dell’Ue, ma non quelle sociali.

“Sia nella riforma della Pac di Fischler sia in quella di Ciolos – ha spiegato il vicepresidente della commissione agricoltura Paolo De Castro – abbiamo provato a vincolare l’erogazione delle sovvenzioni alle aziende agricole agli standard di lavoro, purtroppo senza successo”.

Secondo l’eurodeputata della commissione affari sociali Elena Gentile, che ha ospitato il convegno, un punto di partenza potrebbe essere la “Piattaforma europea contro il lavoro sommerso” avviata nel 2016 dalla Commissione Ue. Riparte dai territori Cécile Kyenge: “Abbiamo bisogno di costruire una corazza di diritti anche per prevenire i conflitti”, ricordando come uno dei pilastri di una strategia di integrazione che produca sviluppo locale ci siano “filiere agroalimentari pulite, con marchi certificati e consumo critico”.

Le buone pratiche esistono, come testimoniato dal presidente di Ancc-Coop Stefano Bassi con la campagna “Buoni e giusti”: i fornitori Coop si impegnano al rispetto dei diritti del lavoro e si sottopongono a controlli di terzi, dove in caso di irregolarità possono essere estromessi dalla filiera Coop. Nel rapporto si citano altri esempi come i progetti Caritas in Italia, le regole che in Francia hanno sradicato il lavoro illegale nella raccolta dell’uva, o l’innovazione tecnologica grazie a cui in Spagna, nella regione dell’Almeria, l’agricoltura funziona da vero strumento di integrazione degli immigrati e sviluppo locale.