Legge elettorale: ira dei piccoli partiti, dubbi del M5s. Ma il patto tiene

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Legge elettorale al palo

ROMA. – Insorgono i partiti più piccoli della maggioranza dopo il deposito del testo della legge elettorale concordata tra Pd, FI e M5s: non solo Angelino Alfano dichiara finita la “collaborazione” con il partito di Matteo Renzi, ma anche la galassia di centro (Des-Cd, Ci, Udc) e Mdp picchiano duro sul nuovo sistema simil-tedesco. Sono però i dubbi sorti all’interno dei pentastellati, a destare preoccupazione specie in vista del passaggio al Senato.

I tempi stretti di esame in Commissione del maxi-emendamento presentato giovedì dal relatore Emanuele Fiano, hanno spinto i capigruppo dei partiti contrari alla legge a rivolgersi alla presidente della Camera Laura Boldrini. Quest’ultima per evitare un approdo in Aula del testo, fissato a lunedì 5 giugno, in un clima di scontro, è riuscita a concordare con i capigruppo di Pd, Fi e M5s lo slittamento di 24 ore, a martedì 6 alle 12. Di conseguenza si dilatano di 24 ore anche i tempi di esame in Commissione Affari costituzionali: i sub emendamenti potranno essere presentati sabato mattina e si voterà per tutto il week end e, se serve, lunedì.

Non a caso apprezzamento verso Boldrini, il presidente della Commissione Andrea Mazziotti e verso il relatore, è stato espresso da Ignazio La Russa (Fdi), anch’egli assai critico verso il testo. Ma per certi versi le proteste di Udc (con Lorenzo Cesa e Antonio De Poli), di Des-Cd (Lorenzo Dellai) o di Ci (Domenico Menorello) erano nel conto, così come quelle di Mdp (da Roberto Speranza a Federico Fornaro) che pure all’inizio avevano detto sì al modello simil-tedesco.

Inaspettate sono state invece alcune dichiarazioni di parlamentari di M5s: “è un mega Porcellum” ha tuonato la senatrice Paola Taverna; e Roberto Fico ha lasciato tutti di stucco: “l’accordo non è scontato”. Di contro Danilo Toninelli, l’esperto di leggi elettorali, ha difeso il testo di Fiano, pur annunciando emendamenti che lo rendano davvero come il tedesco, come il voto disgiunto tra parte proporzionale e collegi uninominali, che piace anche a Mdp.

L’accordo tra Fi e Pd è comunque saldo e i parlamentari di questi due partiti, nei loro colloqui con i colleghi di M5s, li mettono in guardia: se salta l’intesa sul simil-tedesco, con la soglia al 5%, si finirà con l’Italicum, che è un proporzionale ma con la soglia al 3%, che danneggia M5s, oltre al Pd.

“Con la soglia al 5% – è il mantra di Renzi che i Dem ripetono a M5s – un partito che prende il 40% può avere la maggioranza dei seggi, con la soglia al 3% no”. E il Movimento ci crede a quel 40%. Al momento la “triplice intesa” tiene anche se dubbi ci sono anche tra i deputati Dem delle Regioni Rosse: a causa del riparto proporzionale dei collegi uninominali, può accadere di essere il più votato in un collegio ma di non essere eletto.

Quanto alle critiche per le urne anticipate a settembre-ottobre evocate da Renzi, questi, riunendo la segreteria ha osservato che proprio le odierne parole di Alfano e il “no” alla fiducia giovedì di Mdp e Udc dimostrano che sarebbe impossibile un iter parlamentare della Legge di Bilancio senza “trabocchetti” con urne a febbraio. Meglio invertire i fattori.

(di Giovanni Innamorati/ANSA)

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