Arrestato il capo di Amnesty in Turchia, difese Del Grande

ISTANBUL. – Nella rete delle purghe di Erdogan finisce anche il presidente di Amnesty International in Turchia. Taner Kilic, avvocato da anni in prima fila nelle battaglie per i diritti umani, che neppure due mesi fa assunse la difesa del giornalista italiano Gabriele del Grande, detenuto per 2 settimane nel Paese, è stato fermato nella sua abitazione di Smirne, sulla costa egea.

Come per altri 22 legali, l’accusa è quella di legami con la presunta rete golpista di Fethullah Gulen, la stessa che dal fallito colpo di stato del 15 luglio scorso ha portato all’arresto di 50 mila persone e all’epurazione di 150 mila dipendenti pubblici.

L’abitazione di Kilic, che guida la sezione turca di Amnesty dal 2014 dopo diversi anni trascorsi nel direttivo, è stata perquisita come il suo studio legale. “Il fatto che le purghe della Turchia post-golpe abbiano raggiunto persino il presidente di Amnesty International in Turchia è l’ennesima prova del punto a cui sono giunte e di quanto siano diventate arbitrarie.

Taner Kilic ha una lunga storia di difesa di quelle libertà che le autorità turche stanno cercando adesso di calpestare”, ha reagito il segretario generale dell’ong, Salil Shetty, chiedendo “l’immediato rilascio” di Kilic e degli altri avvocati fermati. “Al momento il fermo non appare legato al lavoro di Amnesty International, né sembra prendere di mira specificamente l’organizzazione”, precisa l’ong.

Le contestazioni nei suoi confronti non sono al momento chiare, ma in molti sottolineano come le purghe governative, sfruttando lo stato d’emergenza in vigore da quasi un anno, abbiano da tempo preso di mira anche attivisti di opposizione estranei alla rete di Gulen, dai curdi ai movimenti laici. Un messaggio per chiedere la liberazione di Kilic è stato inviato sui social network dallo stesso Del Grande.

Dopo il blitz contro gli avvocati a Smirne, decine di altri arresti sono seguiti in tutta la Turchia. La procura di Ankara ha emesso inoltre mandati di cattura contro 4 dipendenti e altri 4 ex dipendenti della principale azienda nazionale del settore della difesa, Aselsan. Per loro, l’accusa si basa sul presunto utilizzo di ByLock, una app di messaggistica per smartphone che i golpisti avrebbero impiegato per scambiarsi informazioni criptate.

(di Cristoforo Spinella/ANSA)

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