Renzi sposta le urne al 2018, fuori dai radar la riforma del voto

Foto Fabio Cimaglia / LaPresse Matteo Renzi ospite a "L'Arena" di Massimo Giletti.
Foto Fabio Cimaglia / LaPresse
Matteo Renzi ospite a “L’Arena” di Massimo Giletti.

ROMA. – L’esito del primo turno delle amministrative e la batosta subita da M5S sembra riportare al ritorno al bipolarismo con lo scontro tra centrosinistra e centrodestra. Ma in realtà, a livello nazionale, le alleanze, che hanno coagulato i due schieramenti, non sono ancora realtà: Matteo Renzi pensa ad una coalizione larga ma l’intesa con Giuliano Pisapia incontra il niet dei bersaniani mentre Silvio Berlusconi non ha intenzione di cedere ad un centrodestra a trazione leghista con il rischio di un’emorragia di voti moderati.

In attesa dei ballottaggi, dopo i quali i partiti tracceranno un vero bilancio, sembrano due i punti certi dello scenario politico: il Pd ha definitivamente abbandonato la tentazione di urne anticipate e anche i 5 stelle, al di là delle dichiarazioni ufficiali, si rendono conto di dover cercare di mettere fine alla faida interna prima di candidarsi alla guida del paese.

L’altra constatazione che si fa tra i partiti è che non solo il Fianum è naufragato la scorsa settimana in Aula e non uscirà più dai cassetti ma anche nuovi tentativi di riforma elettorale non saranno fatti nei prossimi mesi. Le probabilità più alte ad ora, a meno che non vada in porto una nuova moral suasion del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è che si andrà a votare nel 2018 con il Consultellum, un proporzionale che non esclude le coalizioni.

La tentazione del maggioritario, che circola tra i fan delle coalizioni, si scontrerebbe in realtà con la durezza dei numeri in Parlamento visto che solo il Pd è convintamente a favore. Le alleanze, che a livello locale hanno consentito a destra e sinistra di mettere all’angolo M5S, per ora restano sulla carta. Perchè, nonostante dal centrodestra e dal centrosinistra si ripeta in coro che “uniti si vince”, difficoltà e dubbi serpeggiano in entrambi gli schieramenti.

Silvio Berlusconi, consapevole di risultati a luci e ombre per Fi, non ha intenzione di cedere lo scettro della primazia alla Lega che la fa da padrone ma solo al Nord. E in un’ottica di alleanza a livello nazionale, sono moltissimi i nodi che dividono il centrodestra, a partire dall’euro.

Non meno complicata è la partita a sinistra: Renzi, il cui partito tiene ma non brilla, vorrebbe una coalizione che va da Calenda a Pisapia ma gli ex di Mdp sperano che l’ex sindaco di Milano si decida per il cantiere di una sinistra alternativa al Pd. Le debolezze dei partiti diventano quindi la garanzia di vita per il governo.

Gentiloni a questo punto, dopo il fallimento sulla legge elettorale, ha deciso di accelerare e domani metterà la fiducia alla Camera sul ddl di riforma penale dopo mesi di rinvii. E Renzi, che ha la golden share della maggioranza, ha chiesto ai suoi di spingere su riforme che definiscano il profilo riformista e di centrosinistra del Pd: avanti tutta al Senato con lo ius soli e il testamento biologico e alla Camera sul ddl Richetti sui vitalizi perchè, anche se indeboliti, i grillini non vanno dati, spiegano al Nazareno, per morti.

(di Cristina Ferrulli/ANSA)

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