Migranti: “Chiudere i porti viola i trattati”

ROMA. – L’ipotesi di chiudere i porti alle navi straniere sarebbe “una scelta dura dal punto di vista politico, fatta anche per sollecitare la cooperazione con altri Stati, ma rischia di non essere conforme al diritto internazionale: se su quelle navi ci sono profughi, si prospetta una violazione”.

Secondo il professor Roberto Virzo, docente di Diritto internazionale all’Università del Sannio e di Organizzazione internazionale alla Luiss di Roma, il blocco su cui si sta ragionando di fronte all’emergenza migranti, “è una strada molto difficile da percorrere, e anche se non è da escludere, la considero più teorica che reale dal punto di vista del diritto internazionale”.

– Perché?
“Uno Stato costiero può vietare il transito, anche il passaggio verticale, di una nave straniera che trasporta migranti: lo prevede la Convenzione del diritto del Mare del 1982, che però non può essere applicata in modo isolato, ma alla luce degli obblighi sui diritti umani, della Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Per chiudere i porti bisognerebbe dimostrare che sulla nave straniera ci sono solo migranti economici e non anche rifugiati e minori, categoria quest’ultima verso la quale c’è un obbligo di protezione anche se non provengono da paesi a rischio”.

– Cosa accadrebbe se l’Italia violasse i trattati?
“I migranti respinti potrebbero successivamente adire la Corte dei Diritti umani di Strasburgo: nel 2012 è successo, con profughi respinti in Libia. Anche altri Stati potrebbero muoversi contro l’Italia, ma lo trovo poco probabile perché l’Italia potrebbe a sua volta far leva sulla mancata cooperazione di altri Paesi. Ma in generale, non credo che l’Italia violerà le norme sui diritti umani. La strada da seguire, a mio parere è un’altra”.

– Quale?
“Pretendere, a livello di Stati, l’applicazione puntuale dell’art. 98 della Convenzione del Mare sull’obbligo di soccorso, che impone di trasportare le persone in pericolo nel porto più sicuro. Questa norma stabilisce che vangano istituite aree in cui vige un obbligo di cooperazione tra gli Stati. I Paesi, invece, non stanno cooperando. Su questo l’Italia potrebbe anche valutare un ricorso dinanzi la Corte Giustizia europea. Poi bisogna lavorare sul fronte delle Ong, che pattugliano il Mediterraneo e operano una sorta di soccorso volontario. Servono accordi di cooperazione e regole precise, che attualmente mancano, che stabiliscano i limiti entro cui queste organizzazioni devono operare. E ci vuole la volontà politica di farlo”.

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